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Jane Fonda e il Linfoma non-Hodgkin: perché oggi questo tumore fa meno paura

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Nonostante i suoi 84 anni, anche Jane Fonda ha scelto i social per annunciare a tutti che ha un tumore. E lo ha fatto con i toni che si addicono ad una piattaforma come Instagram nonostante la serietà della notizia: con leggerezza e ottimismo. Quello contro cui sta combattendo l’attrice è un linfoma non-Hodgkin che lei ha definito “un cancro molto trattabile con il quale l’80% delle persone sopravvive. Per questo – scrive Fonda sui social – mi sento molto fortunata”. Che cos’è questo tumore del sistema linfatico? Quali sono i sintomi a cui prestare attenzione e come si cura oggi al punto da avere tassi di sopravvivenza così alti? Lo abbiamo chiesto al professor Armando Santoro, direttore dell’Humanitas Cancer Center all’Istituto clinico Humanitas Irccs di Rozzano.

Che cos’è il linfoma non-Hodgkin?

Con questo termine in realtà si intendono una serie di malattie del tessuto linfatico che si localizzano prevalentemente sulle linfoghiandole, ma che possono interessare tutti gli organi e anche il midollo osseo. Nel linfoma non Hodgkin, alcuni linfociti iniziano a moltiplicarsi in modo anomalo e sregolato, raccogliendosi nei linfonodi (ghiandole del sistema linfatico). Poiché i linfociti così prodotti non hanno le caratteristiche necessarie per combattere le infezioni, la persona con linfoma non Hodgkin risulta più vulnerabile e si ammala con più facilità.

Esistono dei fattori di rischio che contribuiscono alla sua insorgenza?

Purtroppo, non ci sono cause precise che permettano di identificare i fattori di rischio. La sua insorgenza è piuttosto casuale. Attualmente in Italia si registrano 13mila nuovi casi ogni anno e anche se può manifestarsi a qualunque età, la fascia più a rischio è quella oltre i 65 anni. Gli uomini hanno un rischio leggermente maggiore di svilupparlo rispetto alle donne.

Quali sono i sintomi a cui fare attenzione per poter arrivare ad una diagnosi precoce?

Purtroppo, questo tumore non è sintomatico. Il disturbo più comune causato dal LNH è il gonfiore, generalmente indolore, di un linfonodo del collo, delle ascelle o dell’inguine. Quando ce ne accorgiamo sarebbe opportuno rivolgersi al medico per valutare l’opportunità di un accertamento istologico.

Come viene fatta la diagnosi?

L’unico modo per confermare la presenza del linfoma non Hodgkin è eseguire una biopsia, ovvero prelevare un pezzetto del linfonodo ed esaminarlo in laboratorio.

Jane Fonda ha dichiarato di sentirsi fortunata perché il suo linfoma è “molto trattabile”: sono tutti così facilmente curabili?

Questa dichiarazione lascia pensare che si tratti di un linfoma non Hodgkin a bassa malignità, ma in realtà quella dei linfomi è una famiglia eterogena di tumori che vanno da quelli a bassa o alta aggressività che hanno un’evoluzione più lenta a quelli molto aggressivi. Si tratta davvero di tre patologie diverse con un percorso di cura e prospettive di sopravvivenza che cambiano.

Come si possono curare oggi i linfomi non Hodgkin?

La buona notizia è che oggi grazie alla medicina di precisione molti pazienti vengono trattati in maniera completamente diversa rispetto a 5-10 anni fa con farmaci specifici in grado di ottenere in molte condizioni un netto miglioramento dei risultati terapeutici e della durata della risposta. Oggi il 60-70% dei pazienti guarisce del tutto.

Quali sono i trattamenti a seconda del grado di gravità del linfoma?

Nei pazienti che soffrono di linfoma non Hodgkin a bassa malignità si ricorre a terapie blande e in genere che in genere consentono un’aspettativa di vita lunga anche di oltre 10-15 anni. Diverso è l’atteggiamento per i linfomi aggressivi per i quali si ricorre a trattamenti intensivi di chemio e immunoterapia con una percentuale di guarigione di oltre il 60-70%.

Oltre alla chemioterapia e all’immunoterapia come si può intervenire?

Per entrambi i tipi di linfomi oltre alle terapie classiche di salvataggio, come il trapianto di midollo autologo e allogenico, negli ultimi anni sono esplosi nuovi trattamenti di grande interesse come le Car-T. Si tratta di una nuova metodologia di trattamento che prevede il prelievo dei linfociti T del malato, i principali artefici della risposta immunitaria contro il tumore, per rimaneggiarli in laboratorio in modo tale da renderli capaci di riconoscere e distruggere in modo selettivo le cellule cancerose. Con le Car-T nei pazienti che hanno avuto una ricaduta otteniamo eccellenti probabilità di guarigione definitiva. Sempre per entrambi i tipi di linfoma sono in sviluppo nuove terapie con approcci completamente diversi: si tratta degli anticorpi bispecifici e di quelli immunoconiugati che sono in fase avanzatissima di sperimentazione. Insomma, basandoci sui dati che abbiamo la visione complessiva è che si tratta di malattie guaribili definitivamente in un’alta percentuale di casi o nelle quali possiamo sperare di avere un’aspettativa di vita di oltre 10-15 anni.

 

 

 

 



www.repubblica.it 2022-09-05 13:25:23

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