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Depressione? In futuro si potrebbe curare con la luce

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Una giornata grigia e con poca luce influenza il nostro umore? In pazienti affetti da depressione, depressione post-parto e con disturbi bipolari, il problema è amplificato. La scienza potrebbe essere a una svolta nella cura di queste malattie. Ma come?

La soluzione è manipolare i segnali nervosi che si attivano quando l’occhio viene colpito dalla luce solare e arrivano al cervello. È quanto è emerso da uno studio, pubblicato sulla rivista Science Advances, condotto sui topi dai ricercatori dell’Università della California a San Diego coordinati dal neuroscienziato italiano Davide Dulcis.

Cellule nella retina e ritmo circadiano

In un ciclo di 24 ore, nel nostro organismo avvengono cambiamenti fisici, come la variazione della temperatura corporea e il rilascio di ormoni, mentali, comportamentali, come sbalzi di umore.

Nel nostro occhio, oltre a coni e bastoncelli che ci permettono di vedere i colori e ricostruire un’ immagine nel nostro cervello, ci sono anche 1 milione di cellule specializzate della retina che si attivano in base a cambiamenti di intensità e durata della luce solare.

Queste cellule hanno come bersaglio particolari neuroni del cervello situati nell’ipotalamo: i neuroni del nucleo soprachiasmatico. Questi neuroni sono sensibili al ciclo luce-buio e regolano  l’umore e l’apprendimento, producendo diversi neurotrasmettitori, cioè messaggeri chimici, che influenzano le funzioni di un organismo.

Hanno la capacità di attivare o meno la produzione di sostanze per mantenere invariati processi fisiologici come i cicli della fame e del sonno indispensabili per la sopravvivenza dell’organismo.

Luce, ipotalamo e neurotrasmettitori

La ricerca ha mostrato come i topi esposti a periodi di luce brevi/lunghi avessero attivato un numero ridotto di neuroni rispetto ad altri e dal come si potesse modulare la risposta dei loro organismi al ciclo luce-buio.

“La scoperta più importante in questo studio è che abbiamo capito come manipolare artificialmente l’attività di specifici neuroni del nucleo soprachiasmatico”, sottolinea Dulcis.

Se fosse possibile confermare questi risultati anche sugli esseri umani, allora la scienza potrebbe essere in grado di sviluppare delle terapie mirate.



www.repubblica.it 2022-09-15 14:16:40

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