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Mini-cervelli in 3D contro la sclerosi multipla

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Le tecnologie oggi a disposizione ci consentono di accedere a conoscenze nuove e dettagliate, mai possedute finora. Una quantità di dati immensa. La sfida è riuscire a interpretarli nel modo corretto per comprendere i complessi processi che sono alla base della malattia. Ma per vincere la battaglia è necessario essere uniti e condividere le conoscenze con gli esperti di altre patologie neurodegenerative. Per poter mettere a punto nuovi modelli umani con l’obiettivo ultimo di individuare trattamenti innovativi per proteggere il sistema nervoso.

I dati raccolti sulle ricerche biologiche e genetiche

Il Covid, i vaccini, la guerra stanno cambiando la nostra vita, la storia, la geografia e il nostro immaginario. Anche la scienza ha davanti una sfida epocale, che può cambiare la storia di molte malattie e la vita di tante persone. Industria e grandi finanziatori privati e pubblici stanno investendo capitali ingenti per costituire quelli che si chiamano Human Atlases (Atlanti Umani) di dati e conoscenze biologiche, genetiche e così via. Questi Atlanti rappresentano una sorta di mappa di riferimento 2.0 ad altissima risoluzione per organi e tessuti, cervello compreso.

Collegare la sclerosi multipla con altre malattie neurodegenerative 

Per quanto riguarda la sclerosi multipla (Sm), questi studi ad altissima risoluzione possono permetterci di identificare meccanismi di risposta e di progressione al danno, comuni a diverse malattie del cervello. Pertanto, la sfida di connettere la sclerosi multipla con altre malattie neurodegenerative – argomento scelto dalla Fism (Fondazione Italiana Sclerosi Multipla) nel suo recente congresso con l’obiettivo di trovare con la comunità scientifica nuove strade per fermare la progressione e la neurodegenerazione e ristabilire la funzione cerebrale delle persone con sclerosi multipla – dipende fortemente dalla capacità di noi scienziati di guardare nel dettaglio, andare oltre i vecchi dogmi, interpretare questi nuovi dati forniti dagli atlanti umani, generare e verificare ipotesi di meccanismo che siano condivise.

Il processo di invecchiamento cerebrale

La condivisione, di conoscenza come di intenti, è infatti il punto di partenza di una nuova era scientifica che si propone di capire per rallentare la progressiva perdita di resilienza alla malattia; di verificare per identificare quanto “confondente” sia il processo di invecchiamento cerebrale; e in ultimo di generare alleanze senza frontiere di malattia per provare a individuare i trattamenti più adeguati per proteggere il sistema nervoso dai meccanismi di neurodegenerazione e provare a salvare la riserva neurologica di cui siamo dotati dalla nascita.

Per aiutarci a interpretare al meglio questi big human data nel campo della sclerosi multipla sarà determinante mettere a punto nuovi modelli umani – che siano alternativi oppure complementari a quelli animali – che ci permettano di osservare quello che può accadere quando si sviluppa la malattia.

Minibrain studiati in laboratorio

Nel mio laboratorio di Neuroimmunologia rigenerativa a Cambridge, a tal fine, abbiamo sviluppato diversi modelli umani, alcuni più maturi e altri ancora da ottimizzare. In particolare, abbiamo generato una versione nuova di organoidi cerebrali umani (chiamati minibrain) – classicamente utilizzati per studiare lo sviluppo del cervello umano in tre dimensioni a partire da cellule staminali pluripotenti – in cui abbiamo seminato quello che riteniamo essere uno dei germi che contribuiscono a ridurre la resilienza del cervello, in corso di sclerosi multipla progressiva e di accelerarne il processo di invecchiamento.

L’utilizzo di un modello umano in tre dimensioni, come quello che stiamo ancora sviluppando, è uno dei nuovi modi attraverso cui studiare e provare a correggere la perdita progressiva di resilienza alla malattia che caratterizza la sclerosi multipla progressiva.

 Studio del metabolismo cellulare e dei mitocondri

Un altro spunto innovativo della ricerca sulla sclerosi multipla progressiva riguarda lo studio del metabolismo cellulare e dei mitocondri, che sono la sede delle reazioni di respirazione e la centrale di produzione di energia della cellula. La ricerca degli ultimi anni ha dimostrato che le cellule del sistema immunitario innato, in particolare microglia e macrofagi, sono quelle maggiormente coinvolte nella sclerosi multipla secondaria. All’interno del sistema nervoso centrale, infatti, si evidenzia una loro attivazione persistente che determina neuro-degenerazione.

La nostra sfida è capire perché tutto questo accade e se, privando microglia e macrofagi del carburante necessario perché questo processo di infiammazione cronica si automantenga esclusivamente nel cervello, siamo in grado di preservare quella che globalmente viene definita la riserva neurologica.

Trattamenti che aiutino il cervello ad aumentare la propria resilienza

Per cambiare la storia della malattia e la vita delle persone con sclerosi multipla progressiva dobbiamo dunque, prima di tutto, trovare quei trattamenti che aiutino il cervello ad aumentare la propria resilienza, la propria resistenza alla malattia e rallentare così il suo invecchiamento precoce.

Per questo è giunto il tempo di cambiare il disegno delle ricerche cliniche per le forme progressive di sclerosi multipla, andando a esplorare l’impatto che un trattamento può avere sulla riserva neurologica del paziente, non esclusivamente o prevalentemente sulla capacità deambulatoria, ma anche sull’attività cognitiva, sulla memoria o sulle funzioni motorie residue degli arti superiori.

*Stefano Pluchino, Professore di Neuro-immunologia rigenerativa presso il Dipartimento di scienze neurologiche dell’Università di Cambridge in Gran Bretagna. Coordina un gruppo di ricerca internazionale sul ruolo del metabolismo e dei mitocondri nei processi di infiammazione cronica del cervello (con Luca Peruzzotti-Jametti), e il ruolo della senescenza cellulare nei meccanismi di resilienza cerebrale alla Sm progressiva (con Alexandra Nicaise)



www.repubblica.it 2022-09-30 09:58:26

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