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Dopo l’infarto, il grasso nella cicatrice cardiaca accende le aritmie più pericolose

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È un cocktail pericoloso per il cuore. Da un lato ci sono le cicatrici, purtroppo indelebili, del tessuto miocardico senza vita sottoposto ad una prolungata ischemia con morte cellulare.  Dall’altro ci sono le strie di grasso che si fondono con le stesse lesioni cicatriziali, creando una sorta di base biologica che favorirebbe l’insorgenza di aritmie potenzialmente molto gravi, come la fibrillazione ventricolare. In media, questi fenomeni si manifestano a distanza di qualche anno dall’attacco cardiaco e sono difficili da prevedere. Ora, tracciando proprio i depositi di tessuto adiposo lungo le linee del tessuto cicatriziale, si potrebbero identificare in anticipo i soggetti a maggior rischio di aritmia e quindi porre in atto contromisure mirate.

Studiati i modelli digitali del cuore

Ad offrire queste prospettive è una ricerca pubblicata su Nature Cardiovascolar Research, che ha visto protagonisti tra gli altri studiosi come Natalia Travanova dell’Università Johns Hopkins, Eric Sung e Jonathan Chrispin dello stesso ateneo e Saman Nazarian dell’Ospedale universitario della Pennsylvania. La difficoltà dell’indagine consiste nelle possibilità di valutare il grasso con le normali tecniche di imaging.

Se è vero che le cicatrici cardiache appaiono ad una risonanza magnetica con mezzo di contrasto, per valutare la presenza di tessuto adiposo al loro interno è necessaria una TC con mezzo di contrasto.  Ed è difficile trovare persone che infarto che nel periodo di monitoraggio vengano sottoposte ad entrambi i controlli. Per questo sono stati valutati 24 pazienti: dalle immagini ottenute sono stati realizzati veri e propri modelli digitali del cuore e, valutando anche i test elettrofisiologici per trattare le aritmie, si è giunti a capire quanto e come il grasso nelle cicatrici sia importante nel determinare i quadri.

Il rischio di fibrillazione ventricolare

Gli studiosi hanno visto che in presenza di quantità più elevate di grasso nella parete cardiaca dei malati aumentava il rischio di sviluppare aritmie. Lo stesso non accadeva invece considerando la quantità di tessuto cicatriziale nel miocardio. In pratica, quando è presente grasso viene rallentata la conduzione dei segnali elettrici che regolano il ritmo cardiaco. Il risultato è che c’è maggior rischio di comparsa di disordini del ritmo ed in particolare di fibrillazione ventricolare, l’aritmia più frequentemente mortale che provoca un arresto cardiaco.

Quando compare l’aritmia il ventricolo sinistro si contrae anche centinaia di volte al minuto in maniera del tutto autonoma rispetto all’atrio soprastante, che invece mantiene il suo normale ritmo. Questa situazione porta rapidamente ad un gravissimo problema emodinamico, cioè legato allo scorrimento del sangue. Infatti le contrazioni “impazzite” del ventricolo sono del tutto inefficaci, con una grande attività elettrica che si traduce però nella sostanziale assenza della contrazione. Quindi ogni volta il sangue immesso nell’aorta è di gran lunga inferiore rispetto alle necessità dell’organismo. In pochi secondi, quindi si verifica uno stato di grave ischemia al cuore stesso, al cervello e agli altri organi che, se non viene trattata l’aritmia di base, può portare a morte.

Speranze per cure future

“Lo studio, seppure su un numero limitato di pazienti, si focalizza su una definizione molto raffinata della cicatrice cardiaca post-infartuale: questa è composta da fibrosi e può coesistere anche con tessuto adiposo – spiega Giulio Molon, direttore della Cardiologia presso l’Irccs Sacro Cuore-Don Calabria di Negrar. In particolare la ricerca identifica attentamente il grasso, con Risonanza Magnetica e TAC, e lo correla ad una maggiore presenza di tachicardie ventricolari, anche con l’utilizzo del mappaggio elettroanatomico della parte studiata. Inoltre i pazienti trattati con ablazione mediante radio-frequenza della zona coinvolta, per eliminare le tachicardie che da lì si originano, mostrano zone di ablazione più estesa, ossia il tessuto grasso rende più difficile anche la procedura di ablazione”.

Dall’indagini giungono quindi informazioni molto utili, anche in prospettiva, soprattutto per la possibilità di individuare i pazienti a maggior rischio di sviluppare aritmie ventricolari minacciose e quindi con aumentata mortalità. “Inoltre l’analisi del tessuto adiposo potrebbe consentire di essere guidati con più precisione nelle ablazioni, nelle zone con maggior presenza di grasso e di utilizzare terapie di ablazione più efficaci, per eliminare il tessuto adiposo in profondità con energie maggiori, con cateteri o energie o tecniche diverse dalle usuali”, aggiunge Molon. Il tutto, per non parlare ovviamente di terapie mediche specifiche, mirate a ridurre la formazione di grasso nella cicatrice o di eliminarlo/ridurlo una volta che questo si sia creato, per preservare la salute del cuore.



www.repubblica.it 2022-10-19 05:18:35

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