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Dalla peste nera al Covid, sono le pandemie a renderci più forti

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Nessuno di noi l’ha mai contratta, ma è stata la peste nera a rendere il nostro sistema immunitario quello che è oggi. E lo stesso farà Covid per le generazioni future. A mostrare come “le pandemie siano uno dei motori più forti dell’evoluzione umana” sono i ricercatori della McMaster University di Hamilton, Canada, e della University of Chicago Medicine. Hanno analizzato campioni di Dna medievale delle vittime della morte nera e identificato oltre duecento varianti genetiche conferite proprio dalla peste, evidenziando come “le malattie infettive possano far evolvere rapidamente i geni coinvolti nelle risposte immunitarie, diventando uno dei motori della selezione naturale”.

La strage della peste nera

La peste nera, causata dal batterio Yersinia pestis, si diffuse in Europa, Medio Oriente e Nord Africa dal 1346 al 1350 e provocò la morte tra il 30 e il 50% della popolazione dell’epoca. L’alto tasso di mortalità suggerisce che le popolazioni avevano poco o nessun adattamento immunologico precedente a quel patogeno, e non a caso nelle successive epidemie di peste i tassi di mortalità sono drasticamente diminuiti.

“Questo potrebbe essere il risultato di un cambiamento nelle pratiche culturali e sanitarie o dell’evoluzione dei patogeni, ma rappresenta prima di tutto l’adattamento genetico umano”, scrivono i ricercatori. La scoperta è stata appena pubblicata sulla rivista Nature, fornendo le prove che le pandemie infettive hanno modellato la nostra suscettibilità alle malattie e suggerendo che potrebbero continuare a farlo in futuro.

Per esplorare l’evoluzione della variazione nei geni immunocorrelati, il genetista Luis Barreiro e colleghi hanno analizzato 516 campioni di Dna antico estratti da individui morti prima, durante o subito dopo i focolai di peste nera di Londra e in Danimarca. I campioni sono stati datati utilizzando documenti storici e il radiocarbonio. La maggior parte è stata raccolta da un cimitero della peste inglese utilizzato fra il 1348 e il 1349.

Gli autori hanno trovato prove di “selezione positiva” e identificato le varianti genetiche “altamente differenziate”, dovute al fatto di essere stati esposti o meno al batterio, evidenziando il ruolo che le pandemie del passato hanno avuto nel plasmare il rischio di malattia odierno.

Plasmata la diversità genetica dei discendenti

“I nostri risultati forniscono la prova che la peste nera ha avuto un’importante forza selettiva e ha plasmato la diversità genetica dei discendenti. Abbiamo identificato quattro loci – ovvero la posizione di un gene all’interno di un cromosoma – fortemente differenziati prima e dopo la peste nera, oltre ad altre 245 variazioni dovute alla selezione naturale”, spiega Barreiro, che ha anche trovato il Dna “più vantaggioso, in grado di dare una minore risposta delle citochine (la stessa tempesta di citochine che fa degenerare il Covid nel nostro organismo) e limitare la crescita batterica”.

“Durante la Rivoluzione Industriale, la pigmentazione delle falene è cambiata nel giro di decenni, favorendo quelle più scure che meglio si mimetizzavano con la fuliggine. Questo è un classico esempio di cosa i biologi evoluzionisti sanno da tempo: la selezione naturale può avvenire rapidamente, alle giuste condizioni – commenta il professor David Enardis, biologo evoluzionista dell’Università dell’Arizona, nel suo editoriale su Nature -. La peste bubbonica ha causato la pandemia più mortale mai registrata nella storia d’Europa. Ed è naturale pensare che i sopravvissuti possedessero delle caratteristiche che li ha resi più propensi a sopravvivere rispetto agli altri. Il sequenziamento del Dna medievale ora ha permesso di tracciare quelle varianti genetiche “protettive” che a loro volta hanno permesso ai loro discendenti di sopravvivere”.

Il costo della selezione naturale

Tutto questo, però, ha avuto un costo. Con la selezione naturale degli individui che meglio tolleravano il batterio, molte varianti genetiche sono andate perse. E questa velocità di adattamento ha fatto prevalere nella selezione delle varianti di Dna sicuramente più resistenti alla peste, ma contrariamente più predisposta alle malattie infiammatorie croniche e autoimmuni come i reumatismi e l’artrite, di fatto tramandando queste patologie fino ad oggi.

“Ancora adesso paghiamo il prezzo di quella pandemia – conclude Enardis – . Forse questo aumento del rischio semplicemente non era significativo durante la peste nera e la velocità della pandemia potrebbe aver innescato uno scambio in ogni caso inevitabile”.



www.repubblica.it 2022-10-20 07:29:34

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