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Covid, che autunno sarà tra vaccini e farmaci

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Il 78% di chi trarrebbe giovamento da un antivirale somministrato nei primi giorni dall’infezione da Covid, per evitare peggioramenti, ospedalizzazioni e decessi, non riesce ad avere accesso ai farmaci. E parliamo di persone fragili, perché gli antivirali non sono per tutti, ma per chi – oltre ad avere almeno 65 anni – ha quelle che si chiamano comorbilità: compromissioni immunitarie, diabete, obesità, patologie cardiovascolari. Tutte categorie di persone che con l’infezione rischiano di più di finire in ospedale e di aggravarsi, fino al decesso.

Perché non vengono prescritti

Il perché questi farmaci vengano prescritti poco – in alcune regione non è stata prescritta neanche una confezione, precisa Matteo Bassetti, ordinario di Malattie infettive all’università di Genova – è un mix di disorganizzazione, poiché non si riesce ad attivare per tempo la prescrizione, e di scarsa conoscenza sia da parte dei malati che dei medici di medicina generale. Il risultato è appunto quel 78% – sottolineato da Ivan Gentile, ordinario di Malattie infettive alla Federico II di Napoli – che è un dato negativo per i pazienti, che hanno il diritto di essere curati meglio, e anche per il Sistema Sanitario, che risparmierebbe giorni di ricovero (costo medio di una terapia intensiva 800 euro al giorno) e terapie, a fronte di una spesa sostenuta – il ciclo del farmaco più prescritto, il Molnupiravir di Msd, che si assume per via orale e per 5 giorni costa circa 7-800 euro –  ma che evita peggioramenti che avrebbero un impatto sul Ssn, oltre che sulla vita stessa del malato.

Gli studi real world

Insieme alla vaccinazione, pilastro della lotta al virus, i farmaci – monoclonali e antivirali – sono stati e sono tuttora parte fondamentale nella gestione della malattia Covid. E i dati degli studi real world – condotti cioè su pazienti reali non selezionati, quindi anche con più patologie – hanno confermato l’efficacia, con molti distinguo. Il primo studio – sponsor l’università di Oxford – si chiama Panoramic ed è stato condotto su oltre 25mila pazienti: la metà ha seguito le cure tradizionali, all’altra metà è stato aggiunto l’antivirale orale Molnupiravir. Età media 56 anni, quasi tutti vaccinati.

Panoramic, pazienti giovani

Risultato: nessuna riduzione di ospedalizzazione e morte. Un fiasco? “In realtà no – precisa Bassetti, che nel suo centro è stato uno dei primi utilizzatori sia di monoclonali che di antivirali – perché se è vero che non riduce – su soggetti vaccinati e dunque già protetti – ospedalizzazione e morte, e sembra dunque che il bicchiere sia mezzo vuoto, è altrettanto vero che invece induce una negativizzazione rapida, e una minore durata dei sintomi di fatto facendo guarire prima il soggetto e riportandolo in comunità. Credo che la bassa età del campione di questo studio abbia un ruolo importante e che molnupiravir sia più vantaggioso nei soggetti anziani e più malati”.

Clalit, quello israeliano

Ipotesi confermata dal secondo studio – l’israeliano Clalit – che invece ha osservato pazienti di circa 70 anni, bel più anziani quindi di quelli dello studio precedente, anche loro in gran parte vaccinati o che avevano contratto l’infezione. “Somministrato nei primissimi giorni di malattia – precisa Gentile – molnupiravir ha più che dimezzato il rischio di ospedalizzazione e ridotto del 70% quello di morte. Dato importante perché conferma l’efficacia anche nei soggetti vaccinati. Inoltre un altro studio, il TG Rash2, ha dimostrato che l’antivirale non è cancerogeno”. (e. nas.)



www.repubblica.it 2022-10-21 14:55:15

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