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Influenza, perché chi è a rischio cuore (e non solo) deve vaccinarsi

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Fareste una volta l’anno una terapia che promette, studi clinici alla mano, di ridurre del 20 per cento il rischio di morte per scompenso cardiaco e del 27 per cento il rischio di infarto, abbassare il pericolo di peggiorare la fibrillazione atriale o di vederla comparire, limitare la possibilità che la stessa aritmia porti ad ictus ischemico, ridurre del 20 per cento il rischio di finire in ospedale per un cardiopatico? Se la risposta è positiva, pensate che stando alle ricerche questi risultati si ottengono con la prevenzione. Il suo nome?  Vaccino antinfluenzale.

Le linee guida della Società europea

Pensate che nei pazienti con malattia coronarica nota l’efficacia della vaccinazione antinfluenzale per la prevenzione delle recidive di eventi coronarici è risultata confrontabile a quella delle terapie raccomandate in prevenzione secondaria. Tanto che le linee guida della cardiopatia ischemica della Società Europea di Cardiologia attribuiscono alla vaccinazione antinfluenzale una raccomandazione di classe 1, lo stesso livello che hanno farmaci che vengono assunti regolarmente per la prevenzione di problemi cardiovascolari.

Quanto si rischia senza vaccino

Torniamo alle cifre. 28% di riduzione del rischio relativo di mortalità per tutte le cause nei 20 mesi successivi al controllo. Calo del 18% del rischio relativo di decesso per problemi cardiovascolari e diminuzione del 13% degli eventi cardiovascolari maggiori, come infarto o ictus. Stiamo parlando di cardiopatici che si sono vaccinati in confronto ad altri che non si sono protetti. Queste percentuali emergono da  un’analisi su ben 16 studi per un totale di quasi 240.000 pazienti con problemi a cuore ed arterie si apprezza immediatamente il valore della vaccinazione per l’influenza in questa popolazione. Il calo del rischio per chi si vaccina emerge anche da una ricerca americana condotta in pazienti ospedalizzati nel periodo 2010-2017 con diagnosi di influenza confermata laboratoristicamente. Nella popolazione non protetta si è avuto un evento cardiovascolare acuto in un paziente su otto con il 31% dei pazienti che hanno avuto bisogno di ricovero in terapia intensiva ed un percentuale di decessi del 7%.

Perché il cuore rischia

Quando il virus entra nell’organismo scatena una reazione infiammatoria. E proprio questa risposta, insieme all’azione diretta del virus sulle cellule cardiache, sarebbe alla base del rischio in aumento per cuore e vasi. “Diversi patogeni, compresi i virus influenzali, possono modulare la risposta infiammatoria ed influenzare la biologia della placca aterosclerotica fino ad indurne la rottura e causare un infarto miocardio di tipo 1 – spiega Francesco Prati, Presidente della Fondazione Centro per la lotta contro l’Infarto. Vengono rilasciate in circolo citochine infiammatorie, quali le interleuchine 1, 6 e 8 ed il Tumor Necrosis Factor, che sono in grado di attivare le cellule infiammatorie all’interno della placca aterosclerotica”.

Aumenta il rischio trombosi

Come se non bastasse, la tendenza aumentata alla coagulazione del sangue che si associa alle infezioni acute aumenta ulteriormente il rischio di trombosi coronarica nella sede di rottura della placca. “I virus influenzali, inoltre, sembrano dotati di un particolare tropismo per le strutture vascolari, come suggerito in modelli sperimentali di aterosclerosi accelerata dalla loro specifica localizzazione a livello delle placche fibrolipidiche anche in assenza di apparente viremia – riprende Prati. Lo stato di aumentata attività infiammatoria sistemica e a livello di placca, di ipercoagulabilità e di disfunzione/attivazione endoteliale e piastrinica tende a persistere anche dopo la risoluzione clinica dell’infezione acuta”.

Superlavoro con la febbre

Va detto anche che in presenza di una preesistente patologia cardiovascolare l’influenza può contribuire allo sviluppo di un infarto miocardico attraverso un incremento delle richieste metaboliche del tessuto miocardico per la febbre e la tachicardia e l’eventuale induzione di ipossiemia, cioè per la riduzione dell’ossigeno disponibile nel sangue. L’aumento della frequenza cardiaca che accompagna gli stati febbrili riduce il tempo di diastole e conseguentemente la perfusione coronarica che ha luogo maggiormente durante questa fase del ciclo cardiaco. Negli anziani il deficit di perfusione può essere ulteriormente esacerbato dalla presente di stenosi coronariche o anche da una vasocostrizione mediata da tossine. Il tutto, purtroppo, rischia di andare a sommarsi al danno diretto da parte del virus sulle cellule miocardiche.

Vaccino anche subito dopo l’infarto

Nell’ambito del convegno “Conoscere e curare il cuore” in corso a Firenze si parla anche dell’opportunità di vaccinare in ospedale per l’influenza chi ha appena avuto un infarto. A spingere su questa strada sono i risultati dello studio IAMI (Influenza Vaccination After Myocardial Infarction), che ha valutato l’efficacia protettiva della vaccinazione antifluenzale rispetto al placebo nel ridurre gli eventi cardiovascolari maggiori in una coorte di 2571 pazienti, nella presscché totalità dei casi con infarto miocardico (solo 0.3% con malattia coronarica stabile ad alto rischio), in un intervallo di tempo di 12 mesi. La vaccinazione antinfluenzale effettuata entro 72 dalla ospedalizzazione per infarto miocardico o dalla procedura coronarica invasiva ha determinato una riduzione del 28% del rischio di esito primario ed una riduzione del 41% della mortalità per tutte le cause. Il tutto, senza alcun incremento di eventi avversi seri.

 



www.repubblica.it 2022-10-22 12:33:31

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