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Laura Marziali: “La mia storia per la legge sul diritto all’oblio”

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Laura Marziali ha 33 anni e avuto un tumore diversi anni fa. Quando tutto si sarebbe aspettata dalla vita tranne il cancro. Il suo percorso dopo la malattia è quello di tanti pazienti oncologici chiamati “AYA” (da Adolescents and young adults), per i quali oggi in Italia è più che mai necessaria una legge sul diritto all’oblio oncologico. Il perché lo ha raccontato lei stessa pochi giorni fa dal palco del Festival di Salute 2022.

Festival Salute 2022, oblio oncologico. Il racconto: “Tornare in società dopo la malattia, quanti ostacoli”





Dopo la laurea in Giurisprudenza, il diploma alla Scuola Nazionale di Improvvisazione Teatrale e Teatro Vicolo Cechov e dopo aver cominciato il secondo percorso universitario in Scienze e tecniche psicologiche (che sta per concludere), Laura Marziali ha fondato “C’è tempo” Odv, un’associazione di volontariato che, utilizzando il linguaggio dell’arte e del teatro, propone eventi di divulgazione, informazione e formazione in ambito oncologico. Su Oncoline pubblichiamo la sua testimonianza, da lei scritta e presentata in occasione del convegno “Get up Stand up for AYAs with cancer” che si è tenuto lo scorso mese a Milano.

Get up Stand up

di Laura Marziali

“Quando la dottoressa mi disse che avevo un cancro, non sapevo esattamente quale sarebbe stato il mio percorso, non sapevo se effettivamente sarei sopravvissuta né quali fossero gli step da affrontare, nonostante avessi già vissuto la patologia oncologica in famiglia. Nei messi successivi all’intervento e alle terapie pensavo fosse finita lì. Mi sbagliavo. Mi sbagliavo enormemente. Il cancro ha diviso la mia esistenza  in un a.C. e un d.C., inutile negarlo e inutile contraddirlo. La vita che ho vissuto nel d.C. è stata ed è sicuramente più intensa, c’è una qualità del tempo che prima mai mi sarei immaginata. Spesso, tuttavia, mi capita di pormi una domanda: quale è il prezzo della sopravvivenza? Avere il cancro in un’età giovane significa ritornare nella ‘società della performance’ diversa, rotta, vulnerabile, infragilita e, nel mio caso, anche senza capacità riproduttiva. Questo potrebbe bastare per fare di me una persona ai margini di quella che è la corsa sfrenata verso l’illusione del riconoscimento e del successo. E se già non fosse complesso questo e non fosse complesso il mio percorso personale di accettazione ed elaborazione della malattia e  delle sue conseguenze visibili ed invisibili, e non fosse complesso gestire il senso di colpa per essere, appunto, sopravvissuta, ecco che la società mi presenta un altro sbarramento all’ingresso del reintegro. Solo tre parole, brevi, dirette, incisive: tu non puoi”. 

 

‘Tu non puoi’

“Me lo sono sentita dire in una concessionaria di auto quando, insieme a mia madre, ero andata a vedere la mia eventuale nuova macchina. Il signore di fronte a me parlava con la sua banca di fiducia e ‘Tu non puoi, non possiamo ottenere un finanziamento se hai avuto una patologia oncologica, dovrebbe fare la pratica tua madre!’. E me lo sono sentita dire da una direttrice di banca quando, qualche anno fa, sono andata ad informarmi per un eventuale prestito. In realtà chiesi informazioni sia per il mutuo che per il prestito: ‘Noi in extremis possiamo concederti il prestito, ma non avresti mai una copertura assicurativa, quindi o ti assumi il rischio di avere un prestito senza assicurazione o non se ne fa nulla!’. Una volta, in preda alla paura di morire, contattai un amico assicuratore per capire come funzionasse un’assicurazione sulla vita. Sì, mi informavo su tutte queste cose perché fino a quel momento non avevo avuto necessità di questi servizi finanziari, ero più piccola e anche un po’ ignorante in materia, lo ammetto. Anche lui mi rispose ‘Ti voglio bene, ma conoscendo la tua situazione è difficile. Se te la dovessero concedere, i premi sarebbero altissimi!’.

E, infine, me lo sono sentita dire da una assistente sociale quel ‘tu non puoi’ quando, durante un incontro puramente informativo sulla possibilità di affido o adozione, mi disse ‘già non sei sposata quindi manca il requisito necessario, figuriamoci se hai avuto il cancro!’. Quel ghigno non lo dimenticherò. Pensavo di aver sbagliato concessionarie, banche, compagnie assicurative, consultori, ma poi, senza  saperlo, ho capito che non era possibile con nessuno. Non erano ancora passati i dieci anni dalla fine del trattamento della patologia che avevo avuto ma, se anche fossero passati, non avrei potuto esercitare la mia tutela poiché in Italia non c’è una legge che regoli questa tutela”.

Come si fa a dare spazio ai sogni?

“Ecco, oggi qui io mi chiedo e vi chiedo (ed è ovviamente una provocazione): che senso ha lottare per il progresso scientifico in ambito oncologico, che senso ha fortificare i sistemi di prevenzione e salvare quante più vite possibile se poi, nella fase del ‘dopo’, siamo persone lasciate completamente sole? Come fa un bambino di 10 anni a ricostruire da zero? Come fanno un padre o una madre che vorrebbero un prestito, magari per permettere l’istruzione dei figli o delle figlie? Come fa una ragazza di neanche trent’anni a dare spazio ai sogni? Come si ritorna alla vita?”

Un’invalidità invisibile

“Che poi, la cosa che più mi genera rabbia e per la quale provo imbarazzo è che persone come me, con disabilità invisibile, spesso non vengono credute e vengono derise quando chiedono agevolazioni per la propria invalidità. Ho tantissime problematiche fisiche che sono conseguenza del cancro che ho avuto e spesso mi chiedo: come mai di fronte alla disabilità invisibile ‘non abbiamo niente’ e di fronte ai banchieri, agli assicuratori, ai titolari di aziende in ambito professionale, agli  assistenti sociali e ai consultori siamo persone malate o persone senza garanzia e senza futuro? Noi perdiamo sempre. Perdiamo sia quando vogliamo accedere alle tutele che ci spettano in quanto persone con invalidità, sia quando non vogliamo dichiarare la malattia vissuta o quando la malattia vissuta diventa un ostacolo insormontabile”.

Una violazione della Costituzione

“Non so voi ma questa io la chiamo disparità di trattamento. Questa è violazione dell’articolo 3 della nostra Carta Costituzionale che ci vuole con pari dignità senza distinzione di condizioni personali e sociali. Questa, a livello umano, la chiamo discriminazione ed è compito delle istituzioni rimuovere questa disparità così come è nostro compito non sottovalutarla. Io e noi abbiamo il diritto a non subire discriminazioni e a non essere persone stigmatizzate. Spero che l’Italia possa avere presto la sua disciplina in materia di diritto all’oblio oncologico. Spero che i disegni di legge possano trovare nuova luce e nuovo spazio nell’agenda del legislatore. Spero che le banche e le compagnie assicurative facciano il loro compito informativo quando si tratterà di mettere in pratica la legge. Spero che si evitino indagini lesive della persona quando si tratterà di accedere alle pratiche di adozione. Spero nel buon lavoro dell’organo della consulta se dovesse mai essere istituita e spero che  anche l’ambito professionale possa far valere le sue tutele. So perfettamente che ogni parte di questo grande tavolo delle trattative deve essere tutelata ma so per certo che non possiamo far vivere alle persone  che hanno avuto patologia oncologica una vita a metà”.

Alziamoci per i nostri diritti

“Da sola, la mia voce, non arriverà lontano, ma il nostro lavoro di oggi e il vostro lavoro quotidiano possono farci arrivare nelle sedi giuste. Affinché il diritto all’oblio oncologico possa essere informazione per ogni medico, per ogni avvocato, per ogni professionista, per ogni associazione, per ogni persona con patologia oncologica, per ogni familiare e caregivers. E concludo, tutto questo non significa che ogni persona debba dimenticare ciò che ha vissuto, anzi, ognuno decide per sé cosa fare del proprio percorso di malattia e di  guarigione, del proprio percorso fisico e psicologico. Ciò significa tutelare ognuno di noi ogni qual volta ci venga chiesto di dichiarare un passaggio della nostra vita che non solo diventa ostacolo sociale, relazionale e familiare, ma diventa anche un trauma che si ripete senza sosta nelle pieghe del nostro essere. Alzatevi, ribellatevi. Ribellatevi per i vostri diritti, diceva una canzone. Ed ovviamente io non mi arrendo”.



www.repubblica.it 2022-10-27 18:16:08

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