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Approvata l’immunoterapia per la forma di tumore del polmone più aggressiva

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C’è un tipo di tumore del polmone più aggressivo degli altri. Si chiama microcitoma (o a piccole cellule, SCLC) e colpisce ogni anno circa 6 mila persone in Italia. Per questa neoplasia, che fino ad oggi veniva trattata soltanto con la chemioterapia, da oggi è disponibile un nuovo trattamento che consente di migliorare in modo significativo la sopravvivenza a lungo termine, fino a triplicarla.

L’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa) ha infatti approvato la rimborsabilità di durvalumab, un farmaco immunoterapico che può essere prescritto in combinazione con una chemioterapia. Questa rappresenta ora la prima la linea di trattamento per chi ha il microcitoma metastatico.

“Pochissimi pazienti con microcitoma polmonare possono essere operati, perché questa neoplasia progredisce molto rapidamente e, nella maggior parte dei casi, è già in stadio metastatico al momento della diagnosi”, spiega Andrea Ardizzoni, Ordinario di Oncologia Medica all’Università di Bologna e Direttore dell’Oncologia Medica dell’IRCCS Azienda Ospedaliero-Universitaria di Bologna Policlinico Sant’Orsola Malpighi: “La durata del beneficio offerto dalla chemioterapia standard di solito è breve. Da qui il forte bisogno clinico di nuove terapie farmacologiche efficaci. Negli ultimi trent’anni, sono stati moltissimi i farmaci studiati per migliorare la sopravvivenza, ma solo l’aggiunta dell’immunoterapia alla chemioterapia si è dimostrata in grado di ottenere un importante risultato”.

I dati dello studio clinico

La combinazione di durvalumab con la chemioterapia era stata approvata dall’agenzia regolatoria europea (EMA) nel settembre 2020, sulla base ai risultati dello studio internazionale di fase 3 CASPIAN, che ha coinvolto circa 800 pazienti di oltre 200 centri in 23 Paesi. I risultati hanno mostrato che la combinazione non solo riduce del 29% il rischio di morte, ma è in grado di triplicare la probabilità di sopravvivenza a 3 anni rispetto alla sola chemioterapia.  In particolare, il 17,6% dei pazienti trattati con durvalumab più chemioterapia era vivo a tre anni, rispetto al 5,8% con la sola chemioterapia. “Si tratta di un dato significativo – continua Ardizzoni – perché quasi una persona su 5 può ottenere un controllo della malattia a lungo termine, mantenendo inalterata la qualità di vita”.

Come cambia la cura

Durvalumab può essere combinato con diversi schemi di chemioterapia (etoposide con cisplatino o carboplatino). Cambia, inoltre, la strategia generale di gestione della malattia: “Nello schema tradizionale, dopo i 6 cicli di chemioterapia il paziente restava in follow up per poi riprendere il trattamento chemioterapico in caso di recidiva”, spiega Lorenza Landi, Responsabile UOSD Sperimentazioni Cliniche: Fase 1 e Medicina di Precisione dell’Istituto Tumori Regina Elena – IRCCS di Roma: “Il nuovo protocollo, invece, non prevede più sospensioni. Terminata la chemio-immunoterapia, si prosegue con la terapia di mantenimento con la sola immunoterapia. La programmazione terapeutica nel microcitoma polmonare deve essere estremamente precisa. La scelta migliore è rappresentata dalla combinazione dell’immunoterapia con la chemioterapia in prima linea. Solo così possiamo prolungare la sopravvivenza. Inoltre, la continuazione delle cure rassicura il paziente anche dal punto di vista psicologico”.

L’importanza di riconoscere i primi sintomi

La difficoltà nel riconoscere i segnali del microcitoma può allungare i tempi tra la comparsa dei primi sintomi, il contatto con il medico di famiglia e lo specialista. Il risultato è che per circa due terzi dei pazienti con microcitoma polmonare la diagnosi arriva quando la malattia è già in stadio esteso, ossia il tumore si è diffuso al di fuori del polmone, sviluppando metastasi in altri organi. “La capacità di riconoscere segni e sintomi e poter così diagnosticare e iniziare una terapia adeguata sono fondamentali per un avvio rapido delle cure, per ottenere una riduzione delle dimensioni del tumore, controllarne la crescita e, di conseguenza, aumentare l’aspettativa di vita”, sottolinea Silvia Novello, Presidente WALCE (Women Against Lung Cancer in Europe), Ordinario di Oncologia Medica all’Università di Torino e Responsabile Oncologia Polmonare all’Ospedale San Luigi Gonzaga di Orbassano.

Il ruolo del fumo

Questa neoplasia finora ha ricevuto meno attenzione rispetto ad altre, anche a causa dello stigma sociale del tabagismo. A differenza di quanto avviene nel tumore del polmone non a piccole cellule (quello più comune), infatti, in quello a piccole cellule la quasi totalità dei pazienti è fumatore. E il fumo condiziona anche l’esito della cura. “Ora è più che mai importante sensibilizzare gli specialisti sull’importanza della diagnosi tempestiva e informare i pazienti sui fattori e i comportamenti che possono influenzare l’andamento delle terapie, compresa l’abitudine tabagica, che continua ad avere un impatto anche sulle cure e la loro tollerabilità e va pertanto contrastata anche a diagnosi avvenuta”.

“Siamo orgogliosi di poter portare una nuova opzione terapeutica a questi pazienti e di poter finalmente parlare di sopravvivenza in un setting di malattia molto aggressivo”, afferma Mirko Merletti, Vice President Oncology AstraZeneca, impegnata anche nella Lung Ambition Alliance, una partnership che include l’International Association for the Study of Lung Cancer (IASLC), il Guardant Health e la Global Lung Cancer Coalition (GLCC). “Grazie a questa alleanza – conclude – possiamo essere al fianco del paziente anche nella prevenzione. È importante continuare a fare informazione sui rischi collegati al fumo e l’importanza della diagnosi precoce attraverso gli screening”.



www.repubblica.it 2022-11-09 14:48:51

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