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Nuovo test ‘salva-impianti dentali’ prevede infezioni – Sanità

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Sono oltre 2 milioni gli impianti dentali eseguiti ogni anno in Italia: pur rappresentando una efficace soluzione terapeutica, rischiano di fallire nel tempo a causa dei batteri della placca dentale. Entro i primi mesi del 2023 sarà disponibile una nuova arma per prevenire le due malattie infiammatorie più diffuse, la mucosite e la perimplantite. E’ infatti in arrivo un nuovo test basato sull’analisi di un campione di placca batterica prelevata intorno all’impianto in grado di prevedere il rischio che la mucosite, una condizione completamente risolvibile, progredisca verso la più grave perimplantite. Anche in assenza di sintomi. Del nuovo test si è discusso al Congresso Internazionale Osteology-SIdP, organizzato per la prima volta insieme dalla Società Italiana di Parodontologia e Implantologia (SIdP) e dalla Fondazione Osteology e appena concluso a Roma.
    “Le malattie infiammatorie dei tessuti intorno agli impianti dentali – rileva Nicola Marco Sforza, presidente SIdP – rappresentano un problema estremamente sentito dalla comunità odontoiatrica, per il continuo aumento della loro incidenza e per l’elevato problema socio-economico rappresentato per i pazienti e gli stessi dentisti che si trovano a doverle gestire.
    L’introduzione di un nuovo test eseguito alla poltrona del dentista attraverso un semplice tampone, può rappresentare uno strumento integrativo del sondaggio e della radiografia dell’area dell’impianto, contribuendo a definire ‘una firma microbica’ riproducibile per le malattie perimplantari. Una volta a disposizione, potrebbe essere utilizzato sui pazienti a distanza di un anno dal carico dell’impianto, il tempo necessario per l’adattamento dei tessuti e consentire al dentista di intervenire precocemente, prima che l’impianto si ammali, scegliendo in anticipo la terapia più adatta ed eventualmente l’antibiotico migliore in caso di infezione, così da individualizzare ulteriormente le cure per il mantenimento dell’impianto”.

Alla base del nuovo test uno studio italiano che ha decifrato il DNA dei microrganismi colpevoli, individuando oltre 60 batteri finora sconosciuti riconducibili alla mucosite e perimplantite, le due malattie infiammatorie più diffuse che rischiano di compromettere l’impianto. La ricerca durata due anni e tuttora in corso, pubblicata su Biofilms and Microbiomes, edita da Nature, e condotta dai ricercatori del Dipartimento di ricerca CIBIO dell’Università di Trento, è stata coordinata, tra gli altri, da Cristano Tomasi dell’Università di Goteborg e socio attivo della SIdP. Un altro focus del congresso ha riguardato anche i biomateriali e le tecnologie più all’avanguardia per una ricostruzione “su misura” del tessuto osseo e gengivale perduti. “Lo sviluppo di nuove molecole nell’ambito di ricerche precliniche e cliniche iniziali, sembrerebbe rappresentare una nuova risorsa a livello locale in chirurgia rigenerativa parodontale e implantare – spiega Sforza – consentendo una più rapida guarigione della ferita e modulando favorevolmente la rigenerazione ossea e dei tessuti molli. In particolare alcuni polinucleotidi e l’acido ialuronico, sembrerebbero comportarsi come veri e propri attivatori della rigenerazione tissutale e del circolo vascolare. Grazie all’utilizzo di queste molecole, spesso combinate a innesti di osso eterologo che funziona da sostegno, il cosiddetto “scaffold”, possiamo ricostruire il tessuto osseo ‘su misura’ per il paziente. Naturalmente è necessario la conferma di queste osservazioni sperimentali, con ulteriori studi clinici controllati, soprattutto per comprendere i reali vantaggi aggiuntivi di questi biomateriali alle tecniche chirurgiche tradizionali”. “E’importante – sottolinea poi il presidente SIdP – anche il ruolo delle innovazioni tecnologiche che consentono, ad esempio di pianificare con accuratezza e in anticipo il volume dell’aumento osseo richiesto, di usare placche di osteosintesi premodellate, di ricevere griglie per la rigenerativa prima dell’intervento chirurgico e personalizzate in base alla valutazione rx tridimensionale dell’area atrofica del singolo paziente”.
   

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