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Immunoterapia per il tumore del polmone più aggressivo: efficacia confermata anche fu…

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INUTILE girarci troppo intorno. Il tumore del polmone a piccole cellule (SCLC) rappresenta ancora una grandissima sfida per l’oncologia clinica. Purtroppo per chi si ammala le possibilità di trattamento sono ancora poche. Dopo due decenni senza sostanziali avanzamenti terapeutici, però, l’avvento dell’immunoterapia ha cominciato a cambiare le cose, aprendo spiragli per modificare la storia clinica della malattia. Lo racconta a Salute Emilio Bria, responsabile dell’Unità Semplice Dipartimentale di Oncologia Toraco-Polmonare presso il Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS di Roma e Professore Associato di Oncologia Medica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, co-responsabile di uno studio made in Italy che sta confermando il buon profilo di sicurezza e efficacia dell’immunoterapico atezolizumab in combinazione con chemioterapia anche nel contesto cosiddetto di Real Life, cioè in una popolazione più varia di pazienti rispetto a quella degli studi clinici registrativi.

 

Cosa cambia tra gli studi registrativi e la pratica clinica

Atezolizumab in combinazione con chemioterapia con carboplatino ed etoposide è una terapia approvata in Italia dal 2020 per il trattamento di prima linea dei pazienti con SCLC in stadio ‘esteso’, cioè avanzato e diffuso oltre il torace. L’autorizzazione e la rimborsabilità degli enti regolatori sono arrivate dopo i risultati positivi dello studio clinico registrativo Impower133, che per primo ha mostrato un vantaggio significativo in termini di sopravvivenza.

 

Come spiega Bria, però, può accadere che esista un divario tra la popolazione di pazienti coinvolta negli studi clinici registrativi (ossia quelli che vengono condotti prima dell’approvazione di un nuovo trattamento antitumorale in accordo con le autorità regolatorie) e quella che un oncologo si trova davanti nella pratica clinica di tutti i giorni, una volta che il farmaco è reso disponibile. “Gli studi clinici registrativi hanno criteri di inclusione molto stringenti, ma la platea di pazienti per cui un determinato trattamento può essere erogato con potenziale efficacia nella pratica clinica è più ampia”, precisa Bria. Caratteristiche di malattia, storia clinica e stato di salute complessivo possono infatti essere più vari. Pertanto, è importante valutare le performance del trattamento in una popolazione di pazienti più simile a quella della vita reale.

Lo studio Mauris

“Proprio a questo scopo abbiamo disegnato lo studio Mauris”, conferma Bria, “Uno studio di fase IIIB che ha coinvolto 155 pazienti in 25 centri italiani, che si sovrappone come schema terapeutico al braccio sperimentale dello studio registrativo Impower133, e che, oltre a considerare l’aspetto prognostico, cioè l’efficacia di atezolizumab in associazione con la chemioterapia in pazienti con SCLC avantato, valuti anche come i pazienti tollerano questo schema terapeutico innovativo nella pratica clinica”.

Nello studio Mauris i pazienti sono stati trattati con carboplatino, etoposide e atezolizumab per 4-6 cicli nella fase di induzione, seguiti da mantenimento con atezolizumab fino a progressione o tossicità inaccettabile. I primi dati, presentati al congresso ESMO 2022, sono in linea con quelli dello studio registrativo, con una stima di sopravvivenza globale attesa e un profilo di tollerabilità simile a quella ottenuta nello studio Impower133. Nello specifico, gli eventi avversi (di cui il 17-18% seri) si sono verificati in circa un terzo dei pazienti, mentre gli eventi immunomediati (di cui il 7% seri) si sono registrati nel 13-14% dei pazienti, confermando i dati già presenti in letteratura per l’immunoterapia.

Prospettive future

“Circa il 40% dei pazienti trattati con atezolizumab supera l’anno di sopravvivenza, risultato che conferma la bontà dello schema terapeutico anche in una popolazione più simile a quella della pratica clinica quotidiana”, precisa Bria. “Lo studio ha anche aperto la possibilità che proseguire il trattamento chemioterapico fino a 6 cicli totali – opzione che nello studio registrativo non era consentita – possa produrre un vantaggio prognostico”. I risultati dello studio Mauris, dunque, aprono la strada a sviluppi di ricerca futuri, compresa la ricerca di biomarcatori predittivi di risposta all’immunoterapia nei SCLC. “Abbiamo intenzione di esplorare aspetti innovativi, come l’associazione tra l’efficacia del trattamento e la sicurezza con le caratteristiche molecolari e genetiche dei pazienti”, conclude Emilio Bria. “La sfida è capire se ci sono fattori di selezione che ci permettano di identificare i pazienti che traggono un maggiore beneficio dall’aggiunta dell’immunoterapia”.



www.repubblica.it 2022-11-25 11:21:06

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