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Tumore dell’ovaio, verso la diagnosi precoce grazie al Pap test

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Oggi la scoperta del tumore ovarico in fase precoce è per lo più fortuita e rara, conta appena il 10% dei casi. Nel prossimo futuro, però, un test potrebbe ribaltare la situazione, scovando precocemente i segni della malattia, grazie ai tamponi dei Pap test. E’ questa l’intuizione di un team di ricercatori italiani presentata sulle pagine di Science Translational Medicine, che riesce a rivelare tracce della malattia diversi anni prima che si manifesti.

Tumore ovarico, diagnosi spesso tardive

“Identificare un tumore all’ovaio nelle prime fasi significa guarire, al contrario delle diagnosi tardive, spesso letali”, dice Maurizio D’Incalci, professore di farmacologia in Humanitas University e coordinatore dello studio insieme al collega dell’Unità di Genomica traslazionale Sergio Marchini. Si stima infatti che la sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi per i carcinomi sierosi di alto grado, la forma più comune di tumori ovarici, in stadio avanzato sia intorno al 30%, contro il 90% nelle fasi precoci. Ed è proprio per identificare precocemente la malattia – un tumore che conta circa 5.200 diagnosi l’anno in Italia – che diversi gruppi di ricerca sono al lavoro per mettere a punto test di diagnosi precoce. C’è chi va a caccia di segnali riconducibili alla presenza di tumore analizzando il Dna circolante nel sangue, e chi, come il team dell’Humanitas, sfrutta campioni prelevati alle donne che si sono sottoposte al Pap test anni prima. Strade parallele che in futuro potrebbero essere anche combinate insieme, non esclude D’Incalci. Ma andiamo con ordine.

Quali sono gli indizi tumorali da ricercare nel Pap test

“Studi precedenti hanno mostrato che la maggior parte dei tumori ovarici inizia lo sviluppo nelle tube, per poi migrare verso l’ovaio – spiega D’Incalci – ma queste cellule, così come si muovono verso l’ovaio magari possono precocemente muoversi anche verso l’utero”. Di qui l’idea dei ricercatori di andare a cercare lì queste tracce, combinando insieme competenze di medicina, biologia molecolare, biostatistica e informatica.

Per ora lo hanno fatto a ritroso, ovvero attraverso uno studio retrospettivo che ha analizzato i tamponi dei Pap test di donne che hanno in seguito sviluppato tumori ovarici e donne che invece non hanno sviluppato la malattia (rispettivamente 113 e 77, provenienti da diversi ospedali italiani). In questo modo, spiega D’Incalci, i ricercatori sapevano già in buona parte cosa cercare nei campioni di Pap test, perché conoscevano già le caratteristiche molecolari dei tumori, in particolare dei carcinomi sierosi di alto grado, quelli su cui si sono concentrati.

“In prima analisi abbiamo provato a ricercare specifiche mutazioni di p53, un gene oncosoppressore spesso mutato nei tumori. Abbiamo osservato che effettivamente le stesse mutazioni di p53 dei tumori si ritrovavano anche nei campioni del pap test di anni prima. Ma questo marcatore non è sufficientemente specifico, perché mutazioni di questo gene si ritrovano nei tessuti normali, come prodotto dell’invecchiamento”, spiega l’esperto. Ma non solo, come si legge nello studio: è necessario sapere prima cosa cercare nei campioni, ovvero conoscere la specifica mutazione del gene. E questo non è sempre un vantaggio. Ecco allora, continua D’Incalci, che l’idea è stata di rivolgere l’attenzione ad altre firme molecolari dei tumori, come la loro instabilità genomica, apprezzabile con alterazioni nei cromosomi e altamente specifica: “Abbiamo osservato che questa caratteristica è già presente nelle prime fasi della malattia, addirittura fino a 9 anni prima della diagnosi”. Il test – messo alla prova per ora nello studio retrospettivo e da considerarsi a oggi solo a scopo di ricerca, puntualizzano gli studiosi – ha un’accuratezza dell’81%.

Cosa serve per validare il test per il tumore ovarico

Per ora quindi si tratta solo di studi preliminari, ma vale la pena proseguire su questo filone di ricerche. I tamponi del Pap test, spiegano, sono relativamente facili da reperire e molto diffusi grazie alle iniziative di screening. “Esiste già una rete che si occupa di effettuare i Pap test – riprende D’Incalci – e sfruttandola potremmo immaginare di proporre il nostro test a un gruppo numeroso di donne, così da poterlo validare”. Con uno studio prospettico, immagina il ricercatore, che coinvolga migliaia di donne. Al tempo stesso potrebbero essere allestite collaborazioni con i centri che si occupano di salpingectomia e ovariectomia (ovvero l’asportazione di tube e ovaie) in seguito alla positività ai geni BRCA, che aumentano il rischio di vari tumori, in primis quelli al seno e all’ovaio.

“Effettuando un Pap test prima dell’intervento chirurgico potremmo eventualmente verificare, qualora la malattia fosse presente nelle fasi iniziali, la concordanza con il nostro test”, conclude D’Incalci. Non tutte le donne con mutazioni in questi geni sviluppano tumori alle ovaie, e un test – validato su grandi numeri – potrebbe consentire magari di ritardare questo tipo di interventi chirurgici, anche considerando la possibilità di avere dei figli.



www.repubblica.it 2023-12-07 10:43:45

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