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Tumore al polmone, la fotografia dei pazienti in Italia

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Oggi c’è più consapevolezza sulle malattie dell’apparato respiratorio. Ma bisogna fare di più: i pazienti con tumore al polmone rivendicano la necessità di informazioni chiare, precise e di facile accesso sulla loro malattia; più attenzione alla riabilitazione, al supporto psicologico e altri aspetti del percorso di cura che possono influenzare profondamente la loro qualità di vita; più contatti con il medico curante, e tra ospedale e territorio; più ampio accesso ai test genomici, offerti oggi solo ad un paziente su due. È quanto emerge da un’indagine condotta nell’ambito dell’iniziativa “In Contatto”, promossa dalle 45 Associazioni del Gruppo “La salute: un bene da difendere, un diritto da promuovere”, che ha voluto indagare le esperienze e le esigenze dei pazienti e delle pazienti con tumore al polmone, per portare all’attenzione delle Istituzioni eventuali disagi, bisogni non soddisfatti e proposte per trovare soluzioni adeguate.

 

L’indagine

Per l’indagine è stato chiesto ai pazienti di raccontare la propria esperienza su percorso diagnostico e cura, prevenzione, gestione e impatto della malattia sulla quotidianità, esigenze e priorità; oltre metà del campione è di sesso femminile, con un’età compresa tra i 61 e i 75 anni, mentre il 23% ha tra i 51 e i 60 anni. Il 45% degli intervistati al momento dell’indagine era in trattamento, il 32,5% in follow up mentre il 14,5% e l’13,2% erano rispettivamente in mantenimento o appena operati.

Serve più prevenzione

La survey ha rivelato che sul fronte della prevenzione c’è ancora molto lavoro da fare, e che lo pneumologo, specialista di riferimento per le malattie polmonari, non è ancora la figura a cui la popolazione si rivolge di routine in caso di segni e sintomi dell’apparato respiratorio. I dati dell’indagine evidenziano che solo il 20% del campione si è sottoposto da più di 3 anni ad una Rx del torace: al 55% questo esame non è mai stato prescritto dal medico di famiglia e addirittura l’88% dei rispondenti non si è mai sottoposto ad una TAC spirale del torace. Inoltre, la maggioranza del campione non si è mai recato dallo pneumologo per una visita. Riguardo la fase della malattia al momento della diagnosi, il 35% del campione presentava un tumore localizzato e operabile, il 23,1% un tumore localmente avanzato non operabile e il 30,8% un tumore in fase metastatica. La prevenzione, dunque, resta cruciale per diagnosticare precocemente la malattia.

L’indagine conferma, inoltre, il ruolo del fumo quale principale fattore di rischio per l’insorgenza di un tumore del polmone. Il 20,5% del campione non ha mai fumato. Per il resto: il 12,4% è un fumatore, il 26,1% è stato un fumatore ma ha smesso da oltre 10 anni, il 13,2% è stato un fumatore ma ha smesso da meno di 5 anni e il 12% è stato un fumatore ma ha smesso da meno di 10 anni. Ciononostante, il 78,2% ha dichiarato di non aver avuto problematiche respiratorie. Il 72% del campione ha abitato in città. Inoltre, il 67,5% dei rispondenti non ha casi di tumore polmonare tra i consanguinei più stretti contro un 29,5% che ha risposto affermativamente.

L’importanza degli screening

La malattia è stata scoperta nel 38,5% dei casi durante controlli di routine, nel 23,5% a seguito di sintomi aspecifici condivisi con il medico di famiglia e solo il 13,2% ha scoperto il tumore grazie a sintomi sospetti mentre il 2% a seguito di esami effettuati per familiarità. A testimoniare la conoscenza ancora limitata della Rete Italiana Screening Polmonare (R.I.S.P.), il programma di screening gratuito per i forti fumatori attivo in 18 Centri italiani: il 69,2% del campione non sa cosa sia mentre il 30,8% del campione ne ha sentito parlare attraverso internet oppure tramite il medico specialista o grazie a materiali informativi in ospedale.

“I dati della survey vanno a confermare quanto le pubblicazioni scientifiche e i registri affermano, ossia che il tumore polmonare è, purtroppo, una malattia sempre più (anche) femminile e il fumo di sigaretta, come abitudine attiva o pregressa, resta il fattore di rischio principale – sostiene Silvia Novello, Professore Ordinario di Oncologia medica Università degli Studi di Torino e Responsabile SSD Oncologia Polmonare AOU San Luigi Gonzaga di Orbassano, Presidente WALCE – Women Against Lung Cancer in Europe – Il livello di informazione rispetto alla campagna di prevenzione secondaria e primaria (RISP) è assolutamente inadeguato, sia fra la popolazione che tra i medici di base, ed un investimento andrà pertanto fatto in tale contesto per diffondere questa possibilità di fare finalmente screening anche per la patologia oncologica polmonare, che ancora oggi è la principale causa di morte per cancro”.

Servono più informazioni

L’informazione è un punto di forte criticità: solo il 2,1% del campione ritiene di essere ‘molto’ informato sulla malattia, anche se oltre la metà degli intervistati dichiara di non avere sottovalutato i possibili campanelli d’allarme. Inoltre, il 68,4% afferma di sapere che il tumore del polmone può essere correlato a mutazioni genomiche e addirittura il 65,4% sa che in questi casi il tumore viene curato con terapie a bersaglio molecolare. Il 62,8% del campione ha effettuato test genomici per la caratterizzazione molecolare del tumore.

Si rivela più che soddisfacente, invece, l’informazione ricevuta sulle scelte terapeutiche. Il 46,2% del campione si dichiara ‘molto’ informato e coinvolto dall’oncologo sulle strategie terapeutiche, il 44,9% ‘abbastanza’ informato. Solo il 9% lamenta di non essere ‘per niente’ informato. Il 39% del campione è stato curato con target therapy, il 36,8% con chemioterapia, il 36,3% con la chirurgia, il 30,3 con radioterapia, infine, un 18% è stato trattato con l’immunoterapia e un 9,4% con combinazione di chemio/immunoterapia. Tuttavia, soltanto al 41,5% degli intervistati il medico curante ha spiegato l’importanza dell’attività fisica e di uno stile di vita sano durante e dopo il percorso di cura.

 

I punti critici dell’assistenza

Gli aspetti relativi al recupero della qualità di vita dei pazienti al momento sembrano quelli più trascurati nel nostro paese. Il 70,6% del campione non è infatti stato sottoposto a terapia riabilitativa dopo l’intervento chirurgico, e solo la metà è stato seguito da un team multidisciplinare, mentre il 62% non ha ricevuto alcun supporto psicologico. La vita quotidiana dei pazienti inoltre subisce spesso limitazioni a causa degli effetti collaterali delle terapie (26,1%), di ansia/depressione (17,1%), e anche per la mancanza di contatto con il medico curante (15,4%). La continuità assistenziale ospedale-territorio è un altro aspetto cruciale: si riscontra un gap tra l’assistenza ospedaliera e quella offerta sul territorio. Difficoltosa l’organizzazione dei controlli, evidenti difficoltà nel conciliare la vita lavorativa e la gestione della malattia. Infine, la maggioranza del campione è stato seguito presso un Centro di riferimento della propria Regione e oltre la metà è stato operato nello stesso Centro di riferimento.

“Nell’indagine il dato che spicca tra tutti è la non conoscenza del tumore polmonare tra i pazienti e i caregiver – conclude Annamaria Mancuso, Presidente Salute Donna OdV e Coordinatrice del Gruppo “La salute: un bene da difendere, un diritto da promuovere – Vuol dire che la popolazione generale non è sufficientemente informata su questa patologia neoplastica, sui segnali da attenzionare e sui percorsi di cura e assistenza. Molto c’è ancora da fare per rendere accessibili i test genomici che sono fondamentali per profilare il tumore dal punto di vista molecolare e impostare le terapie; un altro punto che ci spinge a sostenere i pazienti è quello della presa in carico globale con team multidisciplinari degli stessi malati e un’attenzione particolare al percorso della riabilitazione post-intervento chirurgico, al sostegno psicologico del paziente e del caregiver e ad alcuni aspetti della vita quotidiana che, stando alle testimonianze, ci sembrano gravemente trascurati o sottovalutati”.



www.repubblica.it 2023-12-14 15:26:15

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