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Così il rombo di una supercar potrebbe “risvegliare” dal coma Michael Schumacher

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Michael Schumacher è tornato in pista. Su una Mercedes Amg, da passeggero, per stimolare la sua memoria motoria. Questa è una delle riabilitazioni “non convenzionali” che l’ex pilota della Ferrari sta seguendo a 10 anni dall’incidente sugli sci che lo ha mandato in coma. Da allora si rincorrono notizie contraddittorie sul suo stato di salute. Ma la sua famiglia mantiene tutto nella massima riservatezza per non far trapelare nulla sulle reali condizioni fisiche e mentali del sette volte campione del mondo.

Un team 24 ore su 24

Quel che è assodato è che da quel 29 dicembre 2013 nulla è stato più come prima per il campionissimo: l’ultimo bollettino medico risale a sei mesi dopo la caduta, durante un fuoripista sulle Alpi francesi, a Meribel. Sappiamo che ha battuto la testa su uno spuntone roccioso, che il casco non è bastato per proteggerlo, ma che si è rialzato con le sue gambe e ha detto qualcosa prima di svenire. Poi la corsa all’ospedale di Grenoble, dove è stato sottoposto a due delicati interventi al cervello. E, una volta svegliatosi dal coma, è stato trasferito prima in una clinica in Svizzera, poi nella sua residenza a Gland, poco distante da Ginevra, dove viene seguito 24 ore su 24 da un team di specialisti, tra medici, infermieri e fisioterapisti. Ma non sono mai stati resi pienamente noti i danni subiti, per natura ed entità, così come non sappiamo come sta davvero oggi, se è cosciente oppure in stato vegetativo. 

Le terapie

Ora, il quotidiano tedesco Bild ha rivelato alcune terapie non convenzionali alle quali viene sottoposto Schumacher. Pare, infatti, che il pilota, che il prossimo 3 gennaio compirà 55 anni, sia stato portato in pista in Svizzera come ulteriore tentativo per stimolare la sua attività cerebrale e risvegliare le sue facoltà mentali con suoni e movimenti che per quasi un ventennio hanno scandito la sua carriera. Secondo quanto riportato dai media tedeschi, questo trattamento sarebbe parte integrante della riabilitazione, perché in più di un caso “sono i contesti meglio conosciuti dal paziente a permettergli di riacquistare nel tempo determinate facoltà”.

Uno stato di coscienza

“Qualsiasi stimolo è utile per riattivare le connessioni cerebrali”, conferma a “Salute” il professor Diego Garbossa, direttore della Neurochirurgia Universitaria della Città della Salute di Torino, specializzato in neurotraumatologia. “Nel post-coma, con un accenno di ripresa di attività cognitiva funzionale, la fase riabilitativa è essenziale”. E se Schumacher sta seguendo questo tipo di riabilitazione, probabilmente vuol dire che è cosciente. “In caso di coma apallico – spiega – , che vede compromesso nel paziente il contatto con la realtà esterna, non esiste riabilitazione efficace. Mi sembrerebbe quindi irragionevole sottoporlo a un’attività simile nel caso fosse in stato vegetativo”.
  

Ci sono, comunque, diversi livelli di coscienza in cui può trovarsi una persona dopo un grave danno cerebrale come quello subito dal pilota tedesco. “Esiste uno stato di minima coscienza, in cui si mostrano momenti di relazione con l’ambiente, così come ci si può risvegliare dal coma, essere coscienti e in grado di comprendere, ma non di esprimersi e di muoversi. Con la riabilitazione, quindi, si tenta di riattivare i circuiti del cervello rimasti integri, stimolando le funzioni residue o creandone di nuove”. 

Per capire quello che può fare la riabilitazione alle connessioni cerebrali perdute, “possiamo usare come esempio pratico quello che fa un navigatore Gps quando siamo in auto – prosegue Garbossa – . Dobbiamo andare da Torino a Milano, ma l’autostrada è interrotta per lavori. Il navigatore, allora, ci cercherà delle strade alternative, che ci faranno andare più piano e arrivare in ritardo rispetto al previsto, ma che, comunque, ci porteranno a destinazione. Lo stesso accade nel cervello: alcune di quelle strade alternative già esistono: bisogna solo trovarle, mentre altre devono essere ancora costruite”.

Risvegliare la plasticità

In questo processo le nuove frontiere della riabilitazione stanno dando ottimi risultati. Oltre a sentire la musica e le voci dei propri cari, “sono le esperienze a poter riattivare una serie di ricordi e la memoria motoria, ricostruendo le strade che sono state interrotte dal trauma e che non ci permettono di muoverci o di parlare – spiega il neurochirurgo -. Nel caso di Schumacher, essendo un pilota professionista che per anni è stato alla guida di super-auto, risentirne la potenza e la velocità, oltre al rombo dei motori, può senz’altro contribuire a riabilitare il suo cervello che ha immagazzinato nel tempo quei ricordi. Richiamare certi ricordi può innescare un automatismo di movimento che riattiva schemi neuronali o ne costruisce di nuovi – aggiunge – . Lo stesso si può fare anche con la realtà aumentata, che sta dando ottimi risultati nella riabilitazione post-coma, perché offre al paziente un ambiente stimolante ad alto impatto, anche stando nel proprio letto”.

Al centro di tutto c’è la plasticità cerebrale, la potenzialità del cervello di variare la propria struttura e funzionalità nel corso di tutta la vita e non solo durante il periodo di sviluppo. “Ma più è giovane il cervello, più è plastico – conclude Garbossa – . Con l’avanzare dell’età non si perde questa caratteristica, ma, semplicemente, il processo è più lento e difficile. Un danno massivo può avere le stesse conseguenze di tanti piccoli traumi e tuttavia il fattore tempo è cruciale. Così come un corpo fermo e immobilizzato si atrofizza, lo stesso accade al cervello: più tempo passa, più sarà difficile il recupero, ma questo non vuol dire che non si possa sperare, almeno, in un recupero parziale”.



www.repubblica.it 2023-12-29 17:19:15

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