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Tumore alla vescica, la nuova frontiera potrebbero essere i nanorobot

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Robot nanoscopici con capacità autopropulsive e in grado di trasportare le terapie direttamente nel tumore. Non è fantascienza, ma una tecnologia già in sperimentazione, che, almeno nei modelli animali, sta dando buoni risultati. Un team spagnolo li ha testati su topi con tumori alla vescica, riuscendo a ridurre del 90% le dimensioni delle masse con una singola applicazione.

Il tumore alla vescica

Il tumore alla vescica è una delle neoplasie più frequenti a livello globale. In Italia, secondo i dati Aiom-Airtum, nel 2023 sono stimati oltre 29 mila nuovi casi, per la maggior parte uomini (23.700). Sebbene la mortalità a 5 anni dalla diagnosi si aggiri attorno all’80%, il rischio di recidiva è molto elevato, cosa che richiede un monitoraggio continuo dei pazienti, frequenti visite ospedaliere e spesso necessità di ripetere i trattamenti.

Nanorobot come veicoli

Per cercare di migliorare l’efficacia delle terapie per il cancro della vescica e ridurre i costi sanitari associati, un team di ricercatori dell’Istituto di Bioingegneria della Catalogna (IBEC) e CIC biomaGUNE, in collaborazione con l’Istituto di Ricerca in Biomedicina (IRB Barcellona) e l’Università Autonoma di Barcellona (UAB), sta testando l’impiego di nanorobot per veicolare terapie a livello locale. Si tratta di minuscole sfere porose di silice che in superficie sono dotate di varie componenti funzionali, in primis lo iodio radioattivo che viene usato per il trattamento localizzato dei tumori. Un’altra componente funzionale della superficie dei nanorobot è l’enzima ureasi, che, come una sorta di motore proteico, reagisce con l’urea presente nell’urina permettendo alla nanomacchina di muoversi e di raggiungere tutte le pareti della vescica. Come mostrato nella ricerca pubblicata su Nature Nanotechnology, con una singola dose di nanorobot i ricercatori sono riusciti a ridurre del 90% le masse tumorali negli animali modello.

Dentro il tumore

Quello che ha stupito in modo particolare i ricercatori è che non solo i nanorobot hanno confermato di potersi spostare autonomamente così da coprire l’intero organo, ma che questa propulsione promuove il loro accumulo proprio nella massa tumorale. Attraverso tecniche di imaging come la Pet, e soprattutto grazie a una nuova tecnica di microscopia a fluorescenza appositamente sviluppata, gli scienziati hanno ricostruito in 3D gli organi e hanno constatato che i nanorobot hanno raggiunto il tumore e sono penetrati nel tessuto malato potenziando così l’azione del radiofarmaco e riducendo gli effetti collaterali. Insomma, sebbene i nanorobot – specificano gli autori – non siano dotati di anticorpi specifici per identificare le cellule tumorali, si sono concentrati comunque nella massa neoplastica perché capaci di alterare l’ambiente tumorale – in particolare di scomporre la matrice extracellulare alterando il pH circostante – e di penetrarvi.

I nanorobot all'interno del tumore (Crediti: IRB Barcelona)

I nanorobot all’interno del tumore (Crediti: IRB Barcelona) 

Le prospettive future

Siamo ancora in una fase preclinica, ma i risultati positivi sono incoraggianti: i prossimi passi saranno di appurare il tasso di recidiva dei tumori vescicali dopo il trattamento coi nanorobot e testare l’impiego di radiofarmaci più potenti, il cui uso oggi è limitato per i possibili effetti avversi a livello sistemico.



www.repubblica.it 2024-01-18 10:38:59

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