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Screening mirati e diagnosi precoci: così l’Ai sta cambiando la medicina

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“L’88% delle donne non svilupperà mai un cancro al seno. Perché sottoporle a una mammografia ogni anno, o ogni due anni? È uno spreco di denaro, di tempo, di energie. È ora di ridefinire il rischio”. Un’affermazione un po’ perentoria e provocatoria, forse, dato che al momento – è bene ribadirlo – la mammmografia resta lo strumento migliore che abbiamo per ridurre la mortalità per il cancro al seno; tuttavia, è indubbio che lo screening (e non solo quello per il cancro al seno) potrebbe essere migliorato, e parecchio, anche grazie ai nuovi strumenti a disposizione dei medici, prima fra tutti l’intelligenza artificiale. A sostenerlo è Eric Topol, il cardiologo americano che ha fondato e dirige lo Scripps Research Translational Institute ed è tra i massimi esperti mondiali di medicina digitale – ne discuteva già quarant’anni fa nella sua tesi di laurea – e di intelligenza artificiale applicata alla medicina. Nel 2019 Topol ha pubblicato il libro Deep Medicine: How Artificial Intelligence Can Make Healthcare Human Again, un saggio in cui discute estensivamente come e perché l’intelligenza artificiale, a suo avviso, rivoluzionerà la pratica clinica; poche settimane fa, l’esperto è tornato sull’argomento in un’intervista rilasciata a Doug Flora, editor della rivista Ai in Precision Oncology. E tra le altre cose ha parlato anche, come citavamo in apertura, della necessità di ripensare completamente gli screening oncologici, naturalmente con l’assistenza delle intelligenze artificiali e della loro capacità di scandagliare quantità enormi di dati.

Capitata a fagiolo

Ma andiamo con ordine. Gli scenari aperti dagli strumenti di intelligenza artificiale sono relativamente recenti, e sono in qualche modo capitati a fagiolo: “Negli anni novanta – racconta Topol – abbiamo iniziato ad accumulare grandi set di dati in modo più o meno strutturato. Qualche anno dopo, con lo sviluppo e la diffusione della rete internet e di sensori e telefoni connessi, è cominciata l’era della ‘biologia digitale’. Abbiamo avuto a disposizione, praticamente all’improvviso, una quantità enorme di dati”. Ma mancava uno strumento per analizzarli: ed ecco arrivare gli algoritmi di intelligenza artificiale, che hanno permesso, per l’appunto, di “navigare” in questo mare di dati ed estrarne informazioni significative. Cambiando i connotati della medicina, e in particolare dell’oncologia: “Il cancro è una malattia genetica – dice ancora lo scienziato – ma allo stesso tempo non è solo una malattia genetica. Avere a disposizione molti livelli di dati, sia legati al genoma che all’ambiente che al sistema immunitario che a molto altro è assolutamente vitale per l’oncologia”.

C’è Ai e Ai

Tra l’altro, “intelligenza artificiale” è ormai una definizione troppo vaga, che andrebbe circostanziata un po’ meglio. Perché i suoi strumenti e le sue declinazioni si sono diversificate molto negli anni, e in meglio. Spiega Topol che fino a non troppo tempo fa le intelligenze artificiali erano per lo più “monomodali”, cioè in grado di elaborare solo un tipo di input, e necessitavano inoltre di supervisione (cioè di un utente umano che “etichettasse” input e output e che “guidasse” l’algoritmo); oggi, invece, abbiamo messo a punto algoritmi multimodali, che quindi, nel caso della medicina, possono elaborare input diversi (registrazioni audio di visite, immagini diagnostiche, diapositive, appunti di testo e così via) e sono auto- o non supervisionati, cioè “cercano” autonomamente la strada corretta per dare una risposta alla domanda di input. Ed è proprio questo tipo di strumenti, così potenti, che può cambiare il corso della medicina.

Questione di screening

Per esempio, come dicevamo, nel campo degli screening oncologici, che oggi si conducono praticamente solo sulla base di un solo parametro, l’età. “È una questione di cui sono molto convinto –  dice Topol – Non stiamo facendo bene [lo screening]. Al momento con lo screening di massa riusciamo a individuare solo il 12-14% del totale dei tumori diagnosticati. Ci costa centinaia di miliardi di dollari ogni anno, per non parlare dell’ansia per i falsi positivi, sia per la mammografia che per gli altri screening. E si basa tutto sull’età, il che è molto stupido. Pensate invece che oggi è sempre più comune l’insorgenza del cancro tra persone giovani: persone diagnosticate con un cancro al colon a 20 anni, o con un cancro al seno a 30. Con i criteri attuali, ci perderemmo tutte queste persone. Secondo me c’è un modo migliore: ci sono strati di dati che definirebbero il rischio di ogni individuo in modo molto più preciso”. E le nuove Ai si possono far carico di questi strati di dati, portando così a una ridefinizione del rischio e a un “reset” dello screening. Screen smarter, not harder, ha ribattuto Flora: screening più intelligente, non più esteso. E già da qualche tempo – va detto – si stanno conducendo studi per capire come applicare la massima, anche in Italia.

I medici vanno formati

Naturalmente – e questo è un altro punto delicato – gli strumenti, per quanto potenti e raffinati, da soli non bastano: c’è bisogno di persone che li vogliano utilizzare e che li sappiano utilizzare, e che non temano di essere sostituiti. Per questo forse è più appropriato parlare di “intelligenza aumentata”, che agisce al fianco di quella umana. “Bisogna che la formazione dei medici del futuro includa un approfondimento sull’intelligenza artificiale: cos’è, come funziona, cosa è brava a fare; ma anche, e soprattutto, cosa non è brava a fare. Il fatto che le sue prestazioni possono diminuire nel tempo, che ha bisogno di essere sorvegliata, che ha problemi di pregiudizi e di disuguaglianze. I medici dovranno imparare come scrivere un prompt per ChatGPT e come valutarne i risultati”.



www.repubblica.it 2024-02-02 14:04:44

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