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La noia nella canzone di Angelina Mango, cosa accade quando perdiamo il desiderio di …

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E se non fosse solo noia? Se la canzone che ha vinto Sanremo parlasse anche d’altro? La noia, in tutta la sua piatta spiacevolezza, è un sentimento umano normale, siamo disegnati per provarla. C’è un motivo. Siamo qui oggi a leggere, scrivere, mandarci messaggi con gli amici commentando il vestito di quello e la dichiarazione di quella grazie a un lascito evolutivo prezioso. È il sistema esploratorio.

Nuovi stimoli

Ogni animale deve cercare cibo, tane, partner per accoppiarsi, territori da definire e delimitare che difenderà dall’invasione di altri gruppi. Finché le risorse sono sufficienti, tutto bene: mangi, bevi, ti proteggi dal freddo, dalla pioggia, dal sole e dai predatori, litighi un po’ per decidere chi si accoppia con chi. Ma se le risorse scarseggiano bisogna muoversi, esplorare le terre oltre il confine, scoprire il nuovo che promette quello che manca e forse altro. La nuova pianta, il campo più fertile, il frutto dal colore che mai avevi osservato prima. Assaggiarlo è un rischio, non mangiarlo è un rischio diverso.

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Il desiderio di esplorare

Un giorno uno dei nostri antenati esplorava una landa dove mai piede umano si era poggiato. Cercava cibo, ruscelli, ha visto un frutto o un mare o una vallata nuova. E ha provato per la prima volta il gusto della scoperta. Il piacere di conoscere, la pulsione epistemica. Siamo qui oggi a inventare microchip, a scoprire anticorpi monoclonali in quanto eredi di quel sentimento di curiosità che si è inscritto nei nostri geni.

A un certo punto il bisogno di esplorare è diventato fine a se stesso. Un automatismo svincolato dallo scopo per cui l’evoluzione lo ha progettato. Siamo diventati esseri che hanno bisogno del nuovo. Forse è solo un tenersi allenati per quando le risorse scarseggeranno, ma tant’è, se manca la sorpresa ci annoiamo.

Il senso di lentezza e stagnazione, il tempo che passa senza un vero motivo. Ci facciamo spenti e irrequieti, chi si paralizza e chi parte all’azione e cerca stimoli e sostanze e partner purché l’organismo si riattivi e tenda a uno scopo, non importa quanto fugace. Eseguiamo senza motivo una procedura scritta per portare avanti la specie.

 

Annoiarsi, una malattia?

Eppure la noia può essere patologia. Stati di spegnimento prolungati, un senso di vuoto e assenza di senso che attanaglia. Una mancanza di direzione, identità e progetto. E quei lenitivi: sesso, sostanze, videogame infiniti, un causarsi dolore che riattiva il cervello, diventano indispensabili. Lo dicevano già i Depeche Mode in quella canzone che di tanto in tanto mi ossessiona, Strangelove: “Cedo al peccato, perché devi rendere questa vita vivibile”.  

Li conosciamo bene noi psicoterapeuti quei meccanismi: li troviamo nei disturbi di personalità borderline e narcisistico, per fare gli esempi più evidenti.

La noia come sofferenza psichica

Ecco, io ho il sospetto che il testo che mezza Italia canta in questi giorni parli di questa noia che è sofferenza psichica. Di quel senso di sospensione della curiosità e assenza di stimoli – “muoio senza morire” – che è in realtà vuoto di significato e direzione. Un dolore che si fa teatro – “una corona di spine sarà il dress-code per la mia festa” – così che qualcuno arrivi e si prenda cura. Peccato, che cantandolo nell’aria, il guaritore non arriverà. Anzi, chi si avvicina incuriosito ha sguardo cattivo: “quanta gente nelle cose vede il male. Viene voglia di scappare come iniziano a parlare. E vorrei dirgli che sto bene ma poi mi guardano male”.  

Il sentire che si avvicina il nemico affiora quasi sempre in quei disturbi dell’identità carente, del vuoto e della noia, si chiama paranoia (non inganni l’assonanza, l’etimo di noia e paranoia è del tutto diverso). Il timore che gli altri malvedano, minaccino o disprezzino.

La cura

C’è una cura? Sì, è non è “muoio perché morire rende i giorni più umani” né “ridere in queste notti bruciate”. È il ritorno dello sguardo degli antenati. Sapevano che dopo il momento della stasi e dell’ozio, del tempo fermo e dei giorni vischiosi si sarebbero incamminati verso un’altra valle. Altri avrebbero riscoperto il nuovo nel già noto.

Giancarlo Dimaggio, psichiatra e psicoterapeuta, è cofondatore del Centro di terapia metacognitiva interpersonale (Roma)



www.repubblica.it 2024-02-13 14:13:17

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