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Artrite reumatoide, un farmaco riesce a bloccarla all’esordio

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E’ possibile capire chi è a rischio di sviluppare l’artrite reumatoide e cercare in queste persone di prevenirla? Due studi appena pubblicati su Lancet dimostrano che si può fare, per giunta utilizzando un farmaco già disponibile proprio per questi malati. La sfida però si può vincere solo a patto di capire chi sono le persone destinate a sviluppare la malattia e che quindi si possono giovare del trattamento in una fase precocissima. Per farlo si possono guardare alcuni indicatori specifici, come gli anticorpi anti-citrullina (ACPA-positivi) o la presenza di dolori articolari persistenti, e anche usare degli strumenti di imaging. Uno di questi, usato in uno dei due studi pubblicati, è stato messo a punto da Maria Antonietta D’Agostino, direttore della UOC di Reumatologia di Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS e Ordinario di reumatologia presso l’Università Cattolica. Si chiama OMERACT-EULAR ed è un punteggio che a partire da un’ecografia articolare riesce a quantificare l’infiammazione caratteristica di questa malattia autoimmune anche nelle fasi molto precoci in pazienti che non hanno segni clinici.

Una finestra che va sfruttata

 

Individuare la malattia prima che i sintomi siano evidenti è una sfida che, se vinta, porta un vero vantaggio per i pazienti. “L’artrite reumatoide – spiega D’Agostino – è una malattia molto disabilitante che al suo esordio non dà segni clinici evidenti; nelle primissime fasi compaiono sintomi aspecifici come dolori articolari, ma mancano i segni cardine della malattia, come l’infiammazione. Questi pazienti, pur essendo considerati a rischio, non avendo una malattia evidente, non sono trattati con farmaci immunosoppressori. In questa fase di malattia c’è però una finestra di opportunità terapeutica e il trattamento precoce di questi pazienti potrebbe evitare la comparsa di sintomi più gravi o addirittura frenare la comparsa della malattia conclamata”.

In entrambi gli studi pubblicati su Lancet, questi pazienti ‘molto precoci’ sono stati divisi in due gruppi, il primo ha ricevuto abatacept – un farmaco biologico che blocca l’attivazione dei linfociti T, responsabili della cascata infiammatoria che porta alla malattia conclamata -, l’altro un placebo. I risultati hanno mostrato una riduzione delle manifestazioni di artrite reumatoide conclamata nei pazienti trattati con il farmaco rispetto a quanti avevano assunto placebo, e un ritardo di manifestazioni di artrite reumatoide in quei pazienti che, pur avendo ricevuto il farmaco abatacept, sviluppavano la malattia. In particolare lo studio APPIPRA, che ha coinvolto più di 200 pazienti senza segni evidenti di malattia, oltre a dimostrare che abatacept rallenta e in alcuni casi blocca la progressione della malattia, ha reso evidente che “l’ecografia articolare consente di individuare i pazienti a maggior rischio di sviluppare l’artrite reumatoide, perché il riscontro di sinovite ecografica, o la presenza di segni infiammatori alla RMN, li fa inquadrare come pazienti ‘attivi’, cioè con artrite conclamata, ma clinicamente non visibile”, spiega D’Agostino.

I risultati

 

Nel primo studio, al termine del primo anno, aveva sviluppato un’artrite reumatoide il 9% dei pazienti trattati con abatacept e il 29% dei pazienti nel gruppo di controllo. A 24 mesi, solo il 25% dei partecipanti trattati con abatacept per un anno sviluppava l’artrite reumatoide, contro il 37% del gruppo di controllo. Nel secondo studio – AARIA – la terapia ‘precocissima’ con abatacept ha dimostrato una riduzione dell’infiammazione nel 57% dei pazienti trattati, contro il 31% del gruppo placebo; in particolare, il trattamento precoce con abatacept ha prodotto un significativo miglioramento del dolore, della rigidità mattutina e della qualità di vita dei pazienti. Solo l’8% dei pazienti trattati contro il 35% del gruppo di controllo ha sviluppato artrite reumatoide. Una differenza rispetto a placebo che si mantiene anche a distanza di un anno dall’interruzione del trattamento. “Questi risultati dimostrano che trattare in fase precoce i soggetti ad alto rischio con un farmaco biologico come abatacept, non solo non crea problemi di tossicità, ma sembra rallentare l’evoluzione verso l’artrite reumatoide clinicamente evidente”, conclude D’Agostino.



www.repubblica.it 2024-02-19 09:06:12

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