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Epatite E, la protezione del vaccino dura a lungo

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C’è un’infezione virale del fegato che dalle nostre parti è poco conosciuta e probabilmente molto sotto-diagnosticata. Eppure, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), ogni anno si verificano 20 milioni di infezioni da HEV (il virus responsabile) e 3,3 milioni di casi sintomatici di epatite E nel mondo, soprattutto in Asia meridionale e orientale. Un vaccino esiste (anche se per il momento è approvato solo in Cina e Pakistan) e oggi, grazie a nuovi dati presentati su Lancet, sappiamo che non solo è molto efficace, ma che la protezione che conferisce dura a lungo nel tempo. Una premessa importante perché in futuro questo strumento possa essere proposto anche nei Paesi ad alto reddito.

Cos’è l’epatite E

L’epatite E non è la malattia del fegato più conosciuta dalle nostre parti. L’incidenza in Italia e in Europa soffre di una buona dose di incertezza, dovuta alla mancata individuazione dei casi: o per scarsa conoscenza o perché non vengono prescritti specifici test diagnostici. Il virus responsabile dell’epatite E (HEV) si trasmette per via oro-fecale e i contagi sono più comuni in quelle aree del mondo a basso-medio reddito in cui è più facile la contaminazione di acqua e cibo con feci umane. In Europa, invece, al di là dei casi “importati” da zone endemiche, i casi rilevati sono più legati al consumo di carne di maiale cruda o non abbastanza cotta.

L’infezione da HEV in persone sane può manifestarsi con un’epatite acuta. I sintomi sono stanchezza, ittero, alterazione dei valori epatici, incapacità di svolgere le normali attività quotidiane. “Tendenzialmente, l’infezione si risolve in maniera spontanea senza gravi conseguenze – spiega a Salute Vincenza Calvaruso, Segretaria nazionale dell’Associazione italiana per lo studio del fegato (Aisf) – Ma ci sono delle eccezioni: il virus in pazienti fragili, come le persone immunocompromesse e quelle con una pregressa malattia di fegato, e nelle donne in gravidanza può provocare un’insufficienza epatica, anche a esito fatale, oppure cronicizzarsi”.

Il vaccino

Nei casi più gravi di epatite E, è possibile ricorrere a terapie antivirali (in genere a base di ribavirina, una molecola che prima dell’avvento dei farmaci antivirali ad azione diretta veniva impiegato per l’epatite C), ma una svolta si è avuta ormai diversi anni fa con lo sviluppo – e poi l’approvazione in Cina (2011) e in Pakistan (2020) – di un vaccino che si è dimostrato molto efficace nel prevenire l’infezione nella popolazione sana. Oggi lo stesso vaccino, prodotto dalla Xiamen Innovax Biotech e noto come Hecolin, ha confermato di funzionare anche sul lungo periodo: a distanza di circa 10 anni dal completamento del ciclo vaccinale (3 dosi da somministrare nell’arco di 6 mesi) gli anticorpi si sono mantenuti a livelli elevati.

Lo studio ha coinvolto più di 100mila persone sane – tra vaccinati e non – monitorate dal 2007 al 2017. In questo arco di tempo i ricercatori hanno registrato 90 casi di epatite E acuta: 13 nel gruppo di persone vaccinate e 77 nel gruppo di persone non vaccinate. “Questo è uno studio come non se ne vedono spesso. Il suo valore risiede nell’ampio campione di popolazione coinvolto, seguito nell’arco di 10 anni” – commenta Calvaruso. Secondo l’esperta, simili risultati confermano senza dubbio l’importanza del vaccino per la salute pubblica là dove l’epatite E è endemica, ma sono anche una premessa cruciale perché in futuro, dopo opportune sperimentazioni ad hoc, possa trovare applicazione anche in altre aree del mondo, come l’Europa. “Nei Paesi ad alto reddito – conclude Calvaruso – un vaccino di questo tipo potrebbe essere proposto nelle donne in gravidanza e ad alcune categorie di pazienti fragili, quelle che a seguito di infezione rischierebbero conseguenze molto serie e a cui già oggi consigliamo vaccinazioni contro altri virus epatici, come quello dell’epatite A”.



www.repubblica.it 2024-02-23 11:37:18

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