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Sclerosi multipla: al via le prime sperimentazioni con le terapie Car-T

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Il 2024 è l’anno in cui si testeranno, per la prima volta, le terapie Car-T contro la sclerosi multipla: una manciata di centri – negli Usa, in Germania e in Cina – hanno infatti appena cominciato ad arruolare i primi pazienti, per tre diversi trial di fase 1 (il primo step della ricerca clinica, che ha l’obiettivo di fornire una prima valutazione della sicurezza e tollerabilità di una possibile terapia).

 

Cosa sono le terapie Car-T

Le Car-T sono immunoterapie che si basano sulle cellule del paziente stesso che vengono prelevate, modificate geneticamente in laboratorio e poi reimmesse nel circolo sanguigno. Ecco perché vengono anche definite ‘farmaci viventi’. Abbiamo imparato a conoscerle ormai oltre 10 anni fa, con gli studi di Carl June dell’Università della Pennsylvania e la storia di Emily, la prima bambina ad aver ricevuto la terapia Car-T per una leucemia resistente a tutti gli altri trattamenti. Da allora, con le terapie Car-T sono stati trattati nel mondo oltre 20 mila persone. Nello specifico, le cellule utilizzate sono i linfociti T (un tipo particolare di globuli bianchi), che vengono modificati affinché esprimano sulla propria membrana la molecola CAR (acronimo di Chimeric Antigen Receptor): così ingegnerizzati, questi linfociti T divengono in grado di riconoscere e legarsi a uno specifico “bersaglio”.

Dai tumori del sangue alle malattie autoimmuni

Quale bersaglio? Nella maggior parte dei casi viene preso di mira l’antigene CD19: una proteina presente su tutti i linfociti B, ossia le cellule che proliferano in modo incontrollato in molti tumori del sangue. E proprio i linfociti B giocano un ruolo cruciale anche nell’insorgenza di diverse malattie autoimmuni, in particolare il lupus eritematoso e le dermatomiositi. Da qui l’idea di impiegare le Car-T in questo ambito: le prime sperimentazioni cliniche sono partite nel 2017 e in Italia l’Ospedale Bambino Gesù di Roma ha da poco annunciato i primi risultati incoraggianti dal trattamento di tre piccoli pazienti, due con lupus e uno con dermatomiosite.

Tre sperimentazioni nella sclerosi multipla

Ora la speranza è che le terapie Car-T possano rappresentare una nuova frontiera anche per le persone con sclerosi multipla. Stando al registro cliniclatrials.gov (dove vengono inserite le sperimentazioni a livello mondiale), nel mese di febbraio risultano infatti in partenza tre studi clinici: uno multicentrico in diversi ospedali degli Usa e di alcuni Paesi europei (tra i quali, ad oggi, non è inclusa l’Italia) promosso da Juno Therapeutics (affiliata di Bristol Myers Squibb); uno in un solo centro negli Usa, lo Stanford Multiple Sclerosis Center, promosso dall’Università di Stanford in collaborazione con l’azienda Kyverna Therapeutics; uno in Cina, promosso dal RenJi Hospital di Shanghai con l’azienda AbelZeta Pharma Inc. 

Gli avanzamenti nella sclerosi multipla

“La sclerosi multipla è la malattia neurologica per cui abbiamo avuto il maggiore avanzamento terapeutico negli ultimi anni – commenta a Salute Roberto Furlan, membro del Comitato scientifico FISM (Fondazione Italiana Sclerosi Multipla) e Direttore dell’Istituto di Neurologia Sperimentale, Divisione di Neuroscienze presso l’IRCCS San Raffaele di Milano – Oggi abbiamo una ventina di molecole, una più efficace dell’altra, per la forma recidivante-remittente. Il problema esiste quando la malattia arriva nella sua forma progressiva. Sappiamo, in realtà, che non si tratta propriamente di due forme diverse, e si pensa che il meccanismo alla base della fase progressiva sia presente fin dall’inizio della malattia. L’ipotesi che viene ora avanzata è che le terapie Car-T possano rappresentare una strategia più efficace di quanto non si siano dimostrati gli anticorpi monoclonali utilizzati finora, che sono diretti contro un altro bersaglio, il CD20”. 

I “bersagli” delle terapie: CD20 e CD19

Per capire il possibile razionale della strategia Car-T nella sclerosi multipla bisogna fare un passo indietro. Immaginiamo il percorso di vita di un linfocita B. “Attraversa diverse fasi di maturazione e in ciascuna fase esprime marcatori diversi, tra cui prima il CD19, e poi il CD20 – spiega Furlan – Mirare al CD19 vuol dire, potenzialmente, colpire i linfociti B quando sono più ‘giovani’ e, sempre potenzialmente, ottenere quindi una loro eliminazione più profonda. Questa strategia sembra effettivamente funzionare bene nelle malattie autoimmuni come il lupus, dove i linfociti B hanno un ruolo molto importante come produttori di auto-anticorpi, anticorpi cioè diretti contro i nostri stessi tessuti. Va detto che nella sclerosi multipla il ruolo degli auto-anticorpi non è altrettanto importante. Inoltre, abbiamo già testato anticorpi monoclonali (che sono farmaci molto più semplici delle Car-T, ndr.) diretti contro CD19 e finora non hanno mostrato particolari vantaggi rispetto a quelli diretti contro CD20, utilizzati nella pratica clinica. Va detto, però, che dal canto loro le Car-T hanno teoricamente la possibilità di raggiungere anche il tessuto cerebrale”.

Una prova di principio

Valutare la tossicità che le Car-T potrebbero sviluppare proprio a livello cerebrale e la loro sicurezza è uno degli aspetti più importanti degli studi clinici in partenza, come spiegano a Nature News Mark Freedman, neurologo presso l’Università di Ottawa, pioniere dei trapianti di cellule staminali e consulente di BMS, e Jeffrey Dunn della Stanford University, che in California sta conducendo il trial sulle Car-T di Kyverna. “Dal punto di vista prettamente scientifico, questi nuovi studi possono rappresentare una prova di principio molto interessante – conclude Furlan – che potrebbe innanzitutto fare luce su alcune questioni ancora senza risposta”.



www.repubblica.it 2024-03-01 10:35:52

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