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Obesity Day, ‘No’ ai sensi di colpa. L’obesità è una malattia che si può curare

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Da Big Mama, prima a Sanremo e giorni fa all’Onu, al servizio realizzato da ‘Le iene’, lo scorso 20 febbraio, non si può parlare di obesità quest’anno senza citare il fenomeno del momento: la grassofobia, cioè l’odio e la discriminazione verso chi è obeso. Tema reso virale dai social – in particolare da Tik Tok  – dove sono tantissimi i video pubblicati da persone in sovrappeso. In molti casi questi filmati, in cui i protagonisti raccontano le loro storie o denunciano cosa subiscono tutti i giorni, diventano virali, facendo registrare milioni e milioni di visualizzazioni. Argomenti che si legano perfettamente al titolo della Giornata mondiale (‘Parliamo dell’obesità e…’), che si tiene il 4 marzo. Un modo per ricordare che questa patologia nasce da una complessa interazione di diversi fattori. Sono circa un miliardo le persone nel mondo che convivono con l’obesità e diventeranno 1,9 miliardi nel 2035, ovvero 1 persona su quattro. In Italia, secondo gli ultimi dati Istat, la percentuale di adulti con sovrappeso e obesità è il 46,3% della popolazione.

La differenza tra sovrappeso e obesità

Il fenomeno della grassofobia nasce dall’ignoranza di cosa sia l’obesità: non semplicemente un ‘essere grassì o una scelta di vita che può essere invertita agendo sulla forza di volontà, ma una vera e propria malattia che rappresenta anche un fattore di rischio per lo sviluppo di numerose altre condizioni, tra cui le malattie cardiovascolari e il diabete di tipo 2.

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“L’obesità non è soltanto un aumento di peso, ma un eccesso di grasso corporeo”, chiarisce Rocco Barazzoni, professore associato di Medicina Interna all’Università di Trieste e presidente della Società Italiana dell’Obesità. “Pensiamo al culturista: ha un peso elevato che, però, è determinato dai muscoli e, quindi, non si può considerare obesità. Nel caso della persona obesa, invece, il peso è dato da un eccesso di grasso corporeo”.

Grassofobia e stigma sociale

Attenzione, però, a non considerare il verdetto della bilancia come un’ammissione di colpa perché l’obesità è una condizione che trascende la volontà di perdere peso, ma su questo c’è scarsa consapevolezza: “Nella lotta all’obesità, il contrasto allo stigma sociale costituisce un obiettivo prioritario, accanto alle politiche di prevenzione e agli interventi mirati su alimentazione e sport – spiega Giuseppe Fatati, presidente Italian Obesity Network – . Occorre un approccio multidisciplinare per far sì che sia considerata da parte dei governi, dei sistemi sanitari e delle stesse persone con obesità, una malattia cronica che richiede una gestione di lungo termine e non una responsabilità del singolo. Questo potrebbe contribuire in modo decisivo a ridurre la disapprovazione sociale e gli episodi di discriminazione verso chi ne è affetto, oltre a incidere sulle cure e sui trattamenti per l’obesità”.

I dati e lo stile di vita

Per capire a fondo come mai il nostro paese sta affrontando questa epidemia di obesità, nonostante possa contare sulla dieta mediterranea, può essere utile uno sguardo ai numeri. Solo il 17,2% della popolazione di 3 anni e più in Italia dichiara di consumare almeno 4 o più porzioni di frutta o verdura al giorno. Oltre 21 milioni di persone, ovvero il 37,2% della popolazione di 3 anni e più, dichiarano di non praticare né sport né attività fisica nel tempo libero, con marcate differenze di genere: è sedentario il 40,6% delle donne contro il 33,6% degli uomini. Il 59,1% delle madri di bambini fisicamente poco attivi ritiene che il proprio figlio svolga attività fisica adeguata.

Come si arriva alla diagnosi

La diagnosi dell’obesità si basa principalmente sulla misurazione dell’Indice di Massa Corporea (IMC) e su altri parametri che possono includere misure di circonferenza vita, analisi della composizione corporea e valutazioni del rischio correlato a condizioni di salute associate all’obesità. “L’Indice di Massa Corporea si calcola dividendo il peso della persona in chilogrammi per il quadrato della sua altezza in metri. Se l’IMC è tra 25 e 30 si tratta di sovrappeso, se va oltre il 30 si parla allora di obesità vera e propria”, spiega il presidente della Sio.

Cosa rischia chi è obeso

L’obesità è anche un potente fattore di rischio per lo sviluppo di numerose altre condizioni, tra cui le malattie cardiovascolari, il diabete di tipo 2, diverse forme di cancro e disturbi muscolo-scheletrici. “Una letteratura ormai consolidata – spiega Angelo Avogaro, presidente della Società Italiana di Diabetologia – indica che una riduzione del 5% del peso diminuisce il rischio di diabete del 40% con un miglioramento significativo dell’emoglobina glicata e della pressione arteriosa. Perdite di peso anche moderate hanno migliorato, non solo i più comuni fattori di rischio, ma anche esiti di malattia come steatosi epatica e apnee notturne nelle persone con diabete di tipo 2”.

Quanto conta la familiarità

Tra i fattori di rischio per l’obesità c’è la familiarità perché la predisposizione genetica può influenzare vari aspetti del bilancio energetico di un individuo. “Le differenze genetiche – spiega Barazzoni – possono influenzare il tasso metabolico basale, ovvero la quantità di energia spesa a riposo, ma anche la capacità di immagazzinare energia sotto forma di grasso e di utilizzarla efficacemente durante le attività fisiche varia da persona a persona”. Altro fattore di rischio è la regolazione dell’appetito e della sazietà: “Geni specifici – prosegue il medico – possono influenzare i segnali di fame e sazietà, portando a differenze nel comportamento alimentare e nella predisposizione all’obesità. Quindi, si può dire che la tendenza ad un’alimentazione eccessiva non è la causa dell’obesità, ma piuttosto un sintomo del problema”. Inoltre, studi su famiglie, gemelli e adottati hanno mostrato che i figli di genitori obesi hanno una probabilità significativamente maggiore di diventare obesi rispetto ai figli di genitori normopeso, suggerendo una forte componente ereditaria.

L’ambiente obesogeno

A dare man forte a quella che potrebbe essere una predisposizione familiare è il cosiddetto ambiente obesogeno, cioè un insieme di fattori ambientali che promuovono l’aumento di peso e l’obesità. “Rispetto a 30-40 anni fa – riflette il presidente della Soi – la disponibilità di cibi ad alta densità energetica e fast food contribuiscono all’aumento dell’apporto calorico. L’aumento delle attività sedentarie, come guardare la televisione, usare il computer e giocare con videogiochi, riduce il dispendio energetico. Inoltre, la dipendenza dai mezzi di trasporto possono limitare le opportunità di attività fisica quotidiana, come camminare o andare in bicicletta”. L’interazione tra fattori genetici e ambientali è complessa. Le persone con una predisposizione genetica all’obesità possono essere più sensibili agli effetti dell’ambiente obesogeno. “Ma attenzione a non utilizzarlo come giustificazione – avverte Barazzoni – perché tutti viviamo in un ambiente obesogeno ma non tutti diventiamo obesi, così come non tutti i fumatori sviluppano un tumore del polmone”.

La vita intrauterina e i farmaci antipsicotici

Alcuni studi suggeriscono che anche l’ambiente e le esperienze nel grembo materno possono influenzare il rischio di obesità e di malattie metaboliche durante l’infanzia e l’età adulta: “Si è visto che la malnutrizione o al contrario una nutrizione eccessiva durante la gravidanza possono influenzare il rischio di obesità nel bambino. Ad esempio, bambini nati da madri obese o che hanno guadagnato un eccesso di peso in gravidanza hanno un rischio maggiore di sviluppare obesità”, spiega Barazzoni. Tra i fattori di rischio anche l’utilizzo di alcuni farmaci. Per esempio, l’assunzione a lungo termine di corticosteroidi può aumentare l’appetito e favorire l’accumulo di grasso corporeo, soprattutto nella regione addominale, mentre alcuni farmaci antipsicotici e antidepressivi possono aumentare significativamente il peso e sono associati a un aumento del rischio di obesità e diabete.

Il peso di stress, disagio mentale e deprivazione del sonno

Anche lo stress e il disagio mentale possono influenzare significativamente il rischio di sviluppare l’obesità attraverso vari meccanismi comportamentali e fisiologici. “Lo stress emotivo – spiega il presidente della Sio – spesso porta a cambiamenti nei comportamenti alimentari, come il consumo eccessivo di cibi ad alta densità energetica. Inoltre, il disagio mentale può diminuire la motivazione o l’energia per l’esercizio fisico, portando a uno stile di vita più sedentario”. Conta anche il sonno perché diversi studi hanno dimostrato che la mancanza di sonno influisce sui livelli degli ormoni dell’appetito, leptina e grelina. La leptina segnala la sazietà al cervello, mentre la grelina stimola la fame. La privazione del sonno riduce i livelli di leptina e aumenta quelli di grelina, aumentando l’appetito e il desiderio di alimenti ad alta densità energetica. Inoltre, la privazione del sonno può aumentare i livelli di cortisolo, l’ormone dello stress, che è stato collegato all’accumulo di grasso addominale.

Con le nuove terapie cali anche del 20% del peso

A far tornare alla ribalta il tema dell’obesità, a prescindere dalla Giornata mondiale, è stato l’arrivo delle nuove terapie definite lo scorso dicembre dalla rivista statunitense Science, la scoperta scientifica dell’anno. Si tratta dei farmaci anti-obesità denominati agonisti del recettore Glp-1, molecole che stimolano la produzione di insulina e riducono l’appetito. Non sono esattamente una novità, dato che da circa un ventennio sono già utilizzati per il trattamento del diabete di tipo 2. Ma solo recentemente sono state approvate negli Usa e in Europa anche per combattere l’obesità in persone non diabetiche. “Con i farmaci finora a disposizione si riusciva ad ottenere una perdita di peso corporeo che non superava il 10% del peso di partenza. Negli ultimi anni, però, c’è stata una svolta nel trattamento farmacologico dell’obesità: grazie a risultati incoraggianti negli studi clinici, nel 2021 è stato approvato dall’Ema un analogo del GLP-1, chiamato semaglutide”, spiega Barazzoni.

Un effetto protettivo che va oltre il peso

Il mercato di questi nuovi farmaci è in gran fermento e sono tante le aziende farmaceutiche che stanno sperimentando farmaci per la perdita di peso. “Dopo l’approvazione in alcuni paesi europei e di recente In Gran Bretagna – prosegue il presidente della Soi – a breve arriverà anche in Italia il tirzepatide e man mano molti altri prodotti simili, un po’ come è accaduto con le statine per il colesterolo. Si tratta di un’opportunità enorme che finalmente ci permette di impostare un calo di peso efficace non di tipo estetico, ma metabolico e in grado di prevenire le comorbidità dell’obesità. Con queste nuove terapie, che devono essere utilizzate sotto il controllo medico, si riesce ad ottenere un calo di peso superiore al 15-18 e anche 20% del peso iniziale”, dichiara Barazzoni che ricorda anche gli effetti protettivi di questi farmaci su altri parametri come emerso dallo studio Select pubblicato sul New England Journal of Medicine: “Si è dimostrato come la semaglutide, somministrata per via sottocutanea al dosaggio di 2.4 mg una volta alla settimana, riduca il rischio cardiovascolare in soggetti sovrappeso ed obesi del 20%: siamo a livello di prevenzione delle statine”.

Trattare l’obesità come l’ipertensione

Ma come funzionano esattamente questi farmaci? “Riducono la sensazione di appetito e la voglia di mangiare e inoltre rallentano lo svuotamento dello stomaco per cui la sensazione di sazietà arriva prima”, risponde Barazzoni. Si somministrano una volta a settimana con un’iniezione sottocutanea che il paziente può fare da solo ma ci sono anche terapie orali. Il problema è che si tratta di terapie a vita: “Curare l’obesità non è mettersi a dieta per 6 mesi e poi riprendere a mangiare normalmente, ma piuttosto è come curare l’ipertensione o il colesterolo: anche l’obesità è malattia cronica e quindi il trattamento va fatto in modo continuativo”, chiarisce il medico.

Il Manifesto per il contrasto all’obesità

In occasione della Giornata mondiale, l’Italian Obesity Network ha realizzato il ‘Manifesto per il contrasto all’obesità, come malattia cronica da affrontare in maniera sinergica multidisciplinare e olistica, libera da pregiudizi, stigma e discriminazionè sottoscritto da oltre 20 organizzazioni rappresentative del mondo medico-scientifico, delle istituzioni e dei pazienti. Il Manifesto traccia una roadmap per il raggiungimento di quattro obiettivi principali: ottenere l’inclusione del sistema sanitario dell’obesità come malattia cronica non trasmissibile a sé stante; costruire l’alfabetizzazione sanitaria, per combattere la discriminazione e lo stigma sociale; garantire che i governi diano priorità alla raccolta di dati e alle risorse necessarie per prevenire o ridurre i fattori di rischio chiave per l’obesità; e infine garantire che le persone che vivono con o sono a rischio di obesità abbiano accesso a servizi sanitari adeguati lungo il corso della loro vita.

L’inserimento nei Lea

Qualche passo in avanti, comunque, è stato già fatto: “Il pieno riconoscimento dell’obesità come malattia da parte del Parlamento italiano è uno dei più importanti risultati raggiunti dall’Intergruppo Parlamentare Obesità, diabete e NCDs”, dichiara Iris Zani, presidente Amici Obesi. “Ora dobbiamo sollecitare le istituzioni affinché la malattia venga inclusa nei Lea per fare in modo che migliaia di persone in grosse difficoltà possano ricevere le cure adeguate e poter affrontare un adeguato percorso di cura”.

La campagna ObeCity

Tra le iniziative per la Giornata mondiale, c’è ObeCity, la campagna di sensibilizzazione sull’obesità a cura di Cittadinanzattiva rivolta in particolare ai cittadini di Bari e Messina, nella giornata di domenica 3 marzo. A Bari, presso il Centro Commerciale La Mongolfiera (Strada Santa Caterina) e a Messina, presso il Centro Commerciale Tremestieri, dalle 16:30 alle 19:30, saranno predisposti stand con materiali informativi sulla prevenzione dell’obesità, sull’alimentazione equilibrata e sugli stili di vita salutari. Saranno presenti anche medici esperti (obesiologi di Sio, chirurghi di Sicob, nutrizionisti di Adi, medici di famiglia di Simg) ai quali i cittadini potranno chiedere approfondimenti, suggerimenti e supporto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



www.repubblica.it 2024-03-04 08:51:30

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