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Ricerca sul cancro: solo il 20% degli studi sulle nuove molecole è no profit

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Grazie alla ricerca e alla prevenzione, oggi in Italia il 60% dei pazienti è vivo a cinque anni dalla diagnosi di cancro e un milione di persone può essere considerato guarito. Bastano questi due numeri a rendere evidente quanto sia necessaria la ricerca clinica, ancor più quando è indipendente, condotta da ricercatori coraggiosi che spendono molto spesso i migliori anni della loro vita chiusi in laboratorio alla ricerca di dati autentici, imparziali e non condizionati che possano portare a terapie innovative che pongono la salute pubblica al di sopra di ogni altro interesse. In Italia sono ben 183 i centri di ricerca in oncologia che ‘producono’ risultati che non ci fanno affatto sfigurare nel confronto con gli altri paesi del mondo, ma preoccupa il fatto che solo il 20% degli studi sulle nuove molecole sia no profit. A puntare l’attenzione su questi dati, è la seconda edizione dell’Annuario dei Centri di Ricerca Oncologica in Italia, promosso dalla Federation of Italian Cooperative Oncology Groups (Ficog) e dall’Associazione Italiana di Oncologia Medica (Aiom), un vero e proprio censimento delle strutture che realizzano sperimentazioni sui tumori nel nostro Paese, presentato oggi al Ministero della Salute, in occasione della Giornata Nazionale dei Gruppi Cooperativi per la Ricerca in Oncologia, promossa da Ficog ogni anno per sensibilizzare i cittadini sull’importanza dei trial clinici indipendenti.

Puntare sulla ricerca come sistema-Paese

Nel 2023, in Italia, sono state stimate 395.000 nuove diagnosi di cancro. I tumori su cui si concentra il maggior numero di sperimentazioni sono quelli gastrointestinali, mammari, toracici, urologici e ginecologici. “Grazie alla ricerca e alla prevenzione, oggi in Italia un milione di persone può essere considerato guarito”, spiega il Ministro della Salute, Orazio Schillaci, nella prefazione del libro. “Questi risultati ci infondono fiducia e costituiscono uno stimolo a investire con forza nella ricerca scientifica per far sì che i pazienti possano accedere in tempi più brevi a terapie innovative e sicure, nonché per garantire una maggiore competitività dell’Italia a livello globale. Con il Piano Oncologico Nazionale, che abbiamo adottato e finanziato, sosteniamo la ricerca, la prevenzione e il potenziamento della capacità di presa in carico, di cura e assistenza dei pazienti oncologici. Inoltre, ai finanziamenti per la ricerca sostenuti dal Ministero della Salute, anche con i bandi della ricerca finalizzata, si aggiungono gli investimenti che si avvalgono delle risorse del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza”.

La fotografia dei centri di ricerca

Sono 183 i centri censiti che conducono ricerche cliniche in oncologia in Italia. Quasi il 50% si trova al Nord (90), il resto al Centro (44 centri) e al Sud (49 centri). Circa un terzo delle strutture (36%, pari a 66 centri) svolge più di 20 sperimentazioni all’anno, il 12% oltre 60. La qualità degli studi è garantita anche dalla presenza, nel 72% dei casi, di procedure operative standard (SOP, Standard Operating Procedure), cioè checklist che consentono di produrre risultati di alto livello. “L’Annuario dei Centri di Ricerca Oncologica in Italia analizza le caratteristiche di 183 centri, il 23% in più rispetto all’edizione dello scorso anno, contribuendo così a fornire un’analisi ancora più realistica dello stato della ricerca sul cancro nel nostro Paese”, spiega Evaristo Maiello, presidente Ficog. L’80-90% dei centri ha una radiologia accreditata in sede, è dotato di un’anatomia patologica, di un laboratorio analisi accreditato, di un laboratorio di biologia molecolare in sede e dispone di un ufficio amministrativo dedicato”.

In calo la ricerca indipendente

A preoccupare oncologi e ricercatori è soprattutto un dato emerso anche dal Rapporto dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) sulle Sperimentazioni Cliniche: “Si registra – continua Maiello – una netta riduzione dello spazio per la ricerca indipendente. In un anno (2021-2022), nel nostro Paese, gli studi clinici non sponsorizzati dall’industria farmaceutica sono passati dal 22,6% al 15% del totale. Una diminuzione di oltre il 7% solo in 12 mesi, che rischia di impoverire fortemente il sistema della ricerca no profit in Italia, soprattutto in aree molto critiche come l’oncologia”.

Carenza di personale e digitalizzazione al rallenty

Resta aperto anche un altro problema che si trascina da anni, cioè la mancanza di risorse e personale: il 68% (124 centri) è privo di un bioinformatico e il 49% (89) non può contare sul supporto statistico. Devono essere strutturate figure professionali indispensabili, come i coordinatori di ricerca clinica (data manager), gli infermieri di ricerca, i biostatistici, gli esperti in revisione di budget e contratti. E la digitalizzazione, che consente di velocizzare e semplificare i trial, è ancora scarsa: solo il 43% utilizza un sistema di elaborazione di dati e il 37% una cartella clinica elettronica. Serve un cambio di passo per sostenere la ricerca accademica, anche perché, oggi in Italia, solo il 20% degli studi sulle nuove molecole contro il cancro è no profit. Il 21% delle strutture è inserito nei centri AIFA accreditati per la Fase I, in cui rientrano gli studi più complessi perché prevedono requisiti stringenti, procedure operative dedicate e una certificazione da parte dell’ente regolatorio.  

Il valore aggiunto della ricerca clinica indipendente

A sottolineare il potenziale della ricerca oncologica in Italia è anche Francesco Perrone, presidente Aiom: “Le sperimentazioni a fini regolatori sono paragonabili a ‘istantanee’ sull’efficacia e la sicurezza dei nuovi farmaci. Tuttavia, proprio come in un’istantanea, ciò che accade prima e dopo lo scatto potrebbe non essere messo a fuoco. I limiti intrinseci agli studi registrativi non consentono di ottimizzare l’uso di una terapia nell’intero percorso terapeutico del paziente”, spiega il presidente Aiom che aggiunge: “La ricerca accademica può affrontare queste lacune e assolvere alla propria missione di migliorare la pratica clinica, ma è necessario un salto di qualità. Vanno previsti studi che non restringano l’attenzione sull’efficacia e tossicità di un singolo farmaco o di una singola associazione di farmaci in un segmento delimitato della storia naturale della malattia, ma guardino all’intero percorso di cura dei pazienti. In questo senso, gli studi di sequenza terapeutica possono ottimizzare l’efficacia delle opzioni terapeutiche disponibili”.

Le indicazioni che arrivano dai pazienti

Nel corso dell’evento di presentazione dell’Annuario si è parlato anche del valore aggiunto della collaborazione attiva delle associazioni dei pazienti alla promozione, progettazione e realizzazione degli studi clinici. “È necessario raccogliere dati da diverse fonti per capire le esigenze dei pazienti”, Elisabetta Iannelli, segretario Favo (Federazione italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia). “Ad esempio, i Pros, i ‘patient-reported outcomes’, sono indicazioni provenienti direttamente dai pazienti, senza l’intermediazione o l’interpretazione dei professionisti della salute o di altri soggetti diversi dal malato in prima persona. I Pros possono riguardare sintomi, effetti collaterali, stato funzionale, percezioni o altri aspetti della terapia come la praticità e la tollerabilità, ma anche altri aspetti che possono incidere fortemente sulla qualità della vita oltre che sulla curabilità della malattia. Le indicazioni contenute nei PROs, rilevate mediante l’uso di questionari standardizzati e validati, sono di fondamentale importanza per valutare il benessere dei pazienti, il loro stato di salute e la gestione delle terapie”.

 

 



www.repubblica.it 2024-03-14 14:21:33

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