Tutte le notizie qui
Backaout
Backaout

Malattie reumatologiche, smog fattore di rischio sottovalutato

22

- Advertisement -


Nelle zone più inquinate vive una proporzione maggiore di malati reumatologici, che hanno una maggiore probabilità di avere una ricaduta o di dover cambiare terapia perché non funziona più. L’inquinamento dell’aria gioca infatti un ruolo importante nell’insorgenza, gravità, riattivazione e mancata risposta alle terapie di alcune patologie reumatologiche, artrite reumatoide in primis, e andrebbe a tutti gli effetti considerato un fattore di rischio da mitigare. L’allarme viene dalla Fondazione Italiana per la Ricerca in Reumatologia (Fira) sulla base di studi e ricerche svolti negli ultimi anni, in Italia e all’estero.

I risultati delle indagini condotte dall’Unità Ospedaliera Complessa di Reumatologia dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona, per esempio, mostrano una correlazione fra i dati di prevalenza delle malattie reumatologiche e i livelli di polveri sottili: nelle zone maggiormente inquinate, cioè, si registrano più diagnosi. “L’indagine ha inoltre riscontrato un rischio maggiore di severità di malattia e di riattivazioni di artrite reumatoide durante i periodi più inquinati da ossidi di carbonio o d’azoto o da ozono o da polveri sottili – spiega Maurizio Rossini, Ordinario di Reumatologia all’Università di Verona e membro del Comitato Scientifico di Fira – Inoltre, è stato dimostrato che l’esposizione acuta ad elevati livelli di inquinamento atmosferico è una potenziale causa di inefficacia o perdita di efficacia delle terapie, determinando quindi la necessità di cambi di terapia e un aumento dei costi per il Servizio Sanitario Nazionale”.

Un danno anche per le ossa

L’esposizione a polveri sottili (PM10 o PM2,5 e polveri ancora più sottili) sembrerebbe avere un effetto negativo anche sul metabolismo scheletrico agendo su due fronti. Da una parte sembra in grado di aumentare la concentrazione della proteina RANKL – coinvolta nella regolazione e nel controllo del metabolismo osseo – e di favorire il rilascio di citochine infiammatorie, che portano all’attivazione degli osteoclasti, le cellule che demoliscono l’osso rendendolo più fragile. Dall’altra la presenza di una elevata concentrazione di particolato nell’atmosfera riduce l’esposizione ai raggi solari UVB, a cui segue una diminuzione della capacità dell’organismo di produrre la vitamina D. Una combinazione che produce un effetto misurabile. “In uno studio che ha coinvolto oltre 59.000 donne distribuite sul territorio italiano abbiamo documentato che l’esposizione a concentrazioni elevate di polveri sottili di dimensione inferiore ai 10 millesimi di millimetro (PM 10) o ai 2.5 µm (PM 2.5) porta ad un aumentato rischio di osteoporosi di circa il 15%, in particolare al femore. Questo contribuirebbe a giustificare l’aumentato rischio di fratture di femore osservato nei periodi di maggiore concentrazione”, dice Rossini.

I pazienti difficili da trattare

L’inquinamento insieme ai fattori socio-economici potrebbero quindi spiegare come mai, sebbene i risultati ottenuti nella cura dell’artrite reumatoide negli ultimi due decenni siano considerati dagli esperti a dir poco sensazionali, ancora una quota non trascurabile di pazienti, calcolabile intorno al 15%, si dimostra refrattaria ai trattamenti. “L’attenzione della ricerca si sta quindi incentrando su questa popolazione, cercando di chiarire i motivi di queste difficoltà – spiega Carlomaurizio Montecucco, Presidente di FIRA e ordinario di Reumatologia dell’Università di Pavia al Policlinico San Matteo – Tra i fattori più importanti nell’identificazione della popolazione ‘difficile da trattare’ vi sono l’obesità e il fumo, fattori di rischio per lo sviluppo dell’artrite, e il basso livello socioeconomico”.

Accanto ai pazienti che non rispondono ai farmaci ci sono anche quelli che, sebbene conseguano dei miglioramenti sul fronte dell’infiammazione e della deformità articolare, continuano a soffrire di dolori, stanchezza e profondo senso soggettivo di malessere. “Sembra probabile che si tratti di una infiammazione residua limitata al sistema nervoso e non direttamente diagnosticabile con gli abituali indicatori utilizzati nell’artrite. L’efficacia di alcuni farmaci per l’artrite che attraversano la barriera emato-encefalica, e che quindi sono in grado di agire sulla neuro-infiammazione, sembra fornire prove a supporto di questa possibilità e aprire nuove strade di trattamento anche per questi pazienti”, aggiunge Montecucco.

I consigli per i pazienti

Insomma, i farmaci di nuova generazione hanno sicuramente raggiunto un buon livello di efficacia, ma la ricerca scientifica dimostra che ci sono una pluralità di fattori da considerare e di meccanismi correlati da indagare per garantire un migliore stato di salute e benessere dei pazienti. Tra questi anche lo smog, a cui però non ci si può sempre sottrarre. Che fare quindi? “Per le persone fragili e immunodepresse, per i pazienti o chi è particolarmente a rischio il consiglio è quello di controllare il bollettino delle polveri sottili, ormai disponibile in molte app, e in caso di livelli elevati considerare di non uscire di casa o almeno di indossare una mascherina FFP2”, conclude Rossini.



www.repubblica.it 2024-03-26 16:22:25

This website uses cookies to improve your experience. We'll assume you're ok with this, but you can opt-out if you wish. Accept Read More