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C’è un super-farmaco e si chiama esercizio fisico

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Disruptive longevity. Una longevità dirompente. Così, al World Economic Forum 2020, ci si riferiva a questa nuova condizione che, con la tecnologia (sempre più sofisticata nella raccolta dei parametri individuali), avrebbe avuto l’impatto maggiore sul sistema della salute e del benessere, a livello mondiale, nel decennio successivo. Quello attuale.

Cosa significa “longevità”

Sul significato del termine, però, occorre, una precisazione: con longevità non si intende più il semplice allungamento del tempo di vita (il “life span”), ma ci si riferisce al cosiddetto “health span”. Il periodo che trascorriamo con un’elevata qualità di vita, ossia con il minore ricorso possibile ai farmaci. È su questo aspetto che bisogna investire in termini di prevenzione ed è per raggiungere l’obiettivo che movimento e stile di vita attivo sono, su tutti i fronti, imprescindibili. Ma, così come la correlazione tra attività fisica regolare e “health span” è stata provata da ricerche in ambiti molto diversi, è altrettanto vero che bisogna seguire una corretta posologia: l’esercizio è un vero e proprio farmaco e come tale richiede una prescrizione individualizzata.

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Perché a dosi troppo basse non serve e a dosi eccessive rischia di essere controproducente, soprattutto in presenza di malattie. Ecco perché nel dibattito medico-scientifico si insiste sul principio “Fitt”, acronimo per “Frequency, Intensity, Time, Type”: le variabili che vanno considerate con il supporto di uno specialista e poi controllate nel tempo.

Diabete di tipo 2

Tornando al discorso iniziale, è dimostrato che un regolare esercizio fisico agisce in modo protettivo sulle principali malattie croniche, che, accelerando l’invecchiamento cellulare, diminuiscono la capacità di difesa dell’organismo. Considerando, per esempio, il diabete di tipo 2 – quasi sempre legato al sovrappeso e tra le prime cause di “unhealthy longevity” – l’esercizio ne riduce l’incidenza del 58% e sulla patologia conclamata ha consistenti effetti positivi sia diretti (quali l’abbassamento della glicemia e la riduzione del bisogno di insulina) sia indiretti su situazioni correlate come la sindrome metabolica o le patologie circolatorie.

Nuove evidenze sono emerse anche in relazione ai benefici sull’infiammazione di basso grado e sulle strategie anticancro. Se ne è parlato anche al 25° congresso annuale della Wellness Foundation a Cesena, dove, su questi ultimi due aspetti, hanno parlato, rispettivamente, Alberto Mantovani, immunologo e direttore scientifico dell’Istituto Clinico Humanitas, e Robert Newton dell’australiana Edith Cowan University. Si è sottolineato come l’attività fisica praticata con regolarità abbassi il tono infiammatorio. Il quale è condizione sottostante della maggior parte delle patologie croniche.

Il ruolo dell’esercizio fisico nel controllo dei tumori

Quanto ai tumori, se fino a qualche anno fa il discorso verteva sul ruolo preventivo dell’esercizio, ora quest’ultimo è considerato fondamentale anche in un approccio di cura sinergica. Definito una sorta di “medicina anticancro endogena”, con effetti preventivi comprovati su sette tipologie tumorali (mammella, colon, vescica, esofago, stomaco, reni, endometrio), in alcuni casi abbassa il rischio di morte del 20%, mentre in altre tipologie si arriva al 60%.

Il vantaggio si concretizza anche sui “cancer survivors”, perché tenersi in movimento contrasta la sarcopenia – la perdita di massa muscolare – che è indotta dal tumore ed è considerata un predittore di mortalità. Durante la chemioterapia, inoltre, praticare una controllata attività ha effetti positivi sull’umore e sulla cosiddetta “fatigue”, che sperimentano spesso i pazienti oncologici: una sindrome che comprende manifestazioni marcate di stanchezza non solo fisica, ma cognitiva ed emotiva.



www.repubblica.it 2024-03-30 03:51:43

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