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ANSA/ “Carefluencers”, quando l’accudimento diventa social – Sanità

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(di Michela Di Carlo)
Condividono gioie e dolori della
propria vita da caregiver, offrendo consigli e spunti di
riflessione, foto e video dei loro accuditi su Instagram e
TikTok. A volte lanciano anche dei club, proponendo
merchandising e prodotti per il benessere quotidiano. Sono i
“carefluencers”, termine coniato dai ricercatori della
University of Southern California Leonard Davis School of
Gerontology, per definire quei caregiver da migliaia di
followers che utilizzano i social media per parlare delle
proprie esperienze quotidiane nell’accudimento di genitori
anziani, nonni, coniugi, figli malati o disabili. Il loro
intento è quello di recuperare in qualche modo i propri spazi,
cercando di “normalizzare” la propria esperienza. “I social
media sono a volte l’unico modo per molti di loro di cercare
supporto, uscire dall’isolamento, avvertire un senso di
appartenenza e scambiare informazioni”, spiega la ricercatrice
Francesca Falzarano al New York Times. Secondo gli esperti,
però, se da un lato contribuiscono ad aumentare la
consapevolezza sul mondo del caregiving e la dedizione che
richiede, dall’altra propongono un aspetto dell’assistenza come
una sorta di competizione e resilienza emotiva, con una
narrativa che non corrisponde sempre alla realtà e il rischio di
dispensare consigli dettati da interessi legati a
sponsorizzazioni da parte di aziende farmaceutiche. “L’uso dei
social è una componente della nostra società – spiega Loredana
Ligabue, Segretaria della Associazione CARER APS -. Ma
attraverso questi strumenti il rischio è anche quello di esporre
aspetti di una persona in difficoltà, non sempre in condizione
di esprimere la propria volontà. Una cosa sono i forum online, i
gruppi di auto-aiuto moderati da uno psicologo o lo scambio di
messaggi su chat protette – continua-, un’altra sono i social
che focalizzano l’attenzione su se stessi con rischi di derive
patologiche e la condivisione di vissuti esasperati solo per
attirare più followers. La realtà è che il caregiver, per
spezzare l’isolamento, ha bisogno di incontri in presenza,
perché la quotidianità è fatta di tanto impegno e rinunce,
perdite affettive che i social non possono colmare”. L’aspetto
social potrebbe poi mettere in ombra i reali problemi sistemici
con cui i caregiver sono alle prese: mancanza di supporto e
accesso alle risorse. “Il rischio è quello di diffondere fake
news riguardo alla malattia del proprio assistito e la capacità
di gestirlo facendo sentire gli altri non all’altezza della
situazione e quindi ancora più fragili- spiega Marina Petrini
responsabile scientifica del progetto di ricerca dell’ISSN sullo
stato di salute dei caregiver familiari autismo e Alzheimer
della regione Lazio. – La problematica può essere stressante ma
la capacità di gestirla dipende da persona a persona. Nel nostro
campione, le donne caregiver soffrono più degli uomini di
depressione con ripercussioni sul sistema immunitario. Lo stress
del caregiver non si vince sui social”, conclude.

   

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www.ansa.it 2024-04-21 12:13:06

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