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Ortobiologia, prudenza per le infiltrazioni con plasma arricchito di piastrine

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Il principio guida per le infiltrazioni di plasma ricco di piastrine in ortopedia dovrebbe essere quello della prudenza nelle indicazioni. Sull’utilizzo di questa pratica di ortobiologia, infatti, ci sono sì interessanti promesse ma pochi punti fermi. A ricordarlo a Salute Luigi Zagra, consigliere della Siot (Società italiana di ortopedia e traumatologia) e responsabile dell’Unità Operativa di Chirurgia dell’anca I all’IRCSS Ospedale Galeazzi – Sant’Ambrogio (tra gli Ospedali di eccellenza per l’ortopedia dell’anca, del ginocchio e della spalla).

Cos’è il plasma ricco di piastrine

Le infiltrazioni di plasma ricco di piastrine (Platelet rich plasma, PRP) sono, come suggerisce il nome, dei preparati derivati dal sangue. “Dopo il prelievo sanguigno, il sangue viene centrifugato: questo consente di stratificarlo in diverse componenti, di cui uno è il plasma arricchito di piastrine”, spiega Zagra. Arricchito perché generalmente il contenuto di piastrine in questa porzione centrifugata è circa sei volte quello che si ha nel sangue. “Questo concentrato, dall’aspetto gelatinoso e derivato da prelievi moderati di sangue, contiene diversi fattori di crescita: è a queste sostanze che si devono i potenziali benefici del preparato”. Parliamo, continua l’esperto, di diverse possibili azioni: “Da una parte il PRP può stimolare localmente i processi rigenerativi delle cellule. A questa azione si aggiunge la capacità di sostenere la formazione di nuovi vasi sanguigni e soprattutto quella di esercitare un’azione anti-infiammatoria”. 

L’azione sull’infiammazione

In particolare, è proprio quest’ultimo a oggi il razionale che ne indica l’utilizzo in campo ortopedico, quello su cui le evidenze sono più forti: “Il plasma ricco di piastrine ha un potenziale rigenerativo ma le evidenze scientifiche in materia si stanno via via accumulando, in un processo continuo cui collabora anche il nostro centro RE.GA.IN – Regenerative Galeazzi Institute – precisa Zagra – Così, se oggi possiamo affermare con più certezza che il PRP ha effetti anti-infiammatori, non possiamo invece dire che sostenga la crescita del tessuto cartilagineo. I risultati in termini di efficacia sono in divenire, vanno documentati, abbiamo pochi punti fermi e serve prudenza nelle indicazioni”. La letteratura raccolta finora lo conferma: non esistono evidenze incontrovertibili in materia e in alcuni casi sono limitate. Il messaggio, da più parti, è che servono ancora prove per stabilirne le reali potenzialità contro il dolore e per aiutare il recupero delle funzioni compromesse.

Quando può essere utile

Ciò detto, esistono alcuni campi di applicazione in cui il PRP sembra promettente, spiega Zagra: “E’ il caso delle patologie tendinee, come quelle a carico del tendine di Achille, il tendine rotuleo e la cuffia dei rotatori, ma la fascite plantare, dove l’utilizzo del PRP è riservato ai casi con presenza di aree colpite da degenerazione e in cui non si hanno lesioni importanti. Il plasma arricchito di piastrine può però essere anche utilizzato nei casi lievi di artrosi per l’anca e ancora di più nel ginocchio con danno cartilagineo modesto e in assenza di un danno meccanico importante”. Le indicazioni sono molto selettive e devono tener conto di diversi fattori, non solo del grado di danno ai tendini o alle articolazioni. In ogni caso, precisa l’esperto, si tratta di interventi che mirano a rallentare il processo degenerativo, a ritardare l’intervento protesico, e non hanno potenziale curativo. “Le infiltrazioni di PRP, insieme ad altre tecniche di ortobiologia come le infiltrazioni di acido ialuronico e le cellule mesenchimali, sono tipi di trattamento con gradi di impegno graduale, sia da parte del personale che dei pazienti. Questo significa, per esempio, che nel caso di un paziente anziano, magari con qualche comorbidità, potrebbe essere meglio un infiltrazione con acido ialuronico piuttosto che una con PRP, che sarebbe più indicata per pazienti più giovani, con maggior potenziale rigenerativo”. In casi selezionati, dopo un ciclo di infiltrazione con una tecnica è possibile tentare anche con altre tecniche di ortobiologia a distanza di qualche mese, ovvero il tempo utile per testare l’efficacia o meno del primo trattamento.

Rischi associati alle infiltrazioni del plasma ricco di piastrine

I rischi associati alla procedura sono limitati, se questa viene eseguita correttamente, ovvero presso ambulatori dotati delle adeguate strumentazioni e dove il preparato è maneggiato in ambienti sterili, precisa l’esperto. “Dal punto di vista biologico parliamo di tessuto che viene immesso nello stesso paziente da cui era stato prelevato, e quindi non c’è rischio di rigetto. Possono esserci rischi di disturbi in sede di iniezione e sono generalmente minimi i rischi di infezione, senza considerare che esiste anche il rischio che non abbia gli effetti sperati”, ammette Zagra. “Il numero limitato di effetti collaterali non è però un lasciapassare al suo utilizzo: il PRP deve essere prescritto in casi selezionati e ha comunque delle controindicazioni – conclude – Non si utilizza per esempio nei pazienti oncologici, in pazienti con problemi ematologici o del fegato, o ancora con infezioni in corso o sotto cura con anticoagulanti”. 



www.repubblica.it 2024-04-24 15:02:58

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