Scompenso cardiaco, la terapia è un farmaco anti-diabete


Il dono, o la fortuna, di scoprire cose che non si stanno cercando. A metà del 1700 Horace Walpole ha coniato con questo significato il termine “serendipity”, che solo negli anni 30 del secolo scorso viene sdoganato dalla scienza, per merito di un docente di fisiologia dell’Università di Harvard. In sintesi, una scoperta avvenuta per caso. E proprio da una valutazione di serendipity, peraltro ampiamente confermata da studi su ampie popolazioni, parte ora una ricerca indipendente tutta italiana per svelare come e fino a che punto farmaci studiati per il diabete come le glifozine (Sglt2-inibitori o Sglt2-i) possano diventare uno strumento utilissimo per controllare l’andamento dello scompenso cardiaco.

Quando la scoperta è casuale

L’obiettivo è ottenere una conferma ulteriore dei dati che mostrano già il beneficio di questi trattamenti per l’insufficienza cardiaca ed hanno portato alla disponibilità di queste terapie in questo settore. “La classe farmacologica degli Sglt2-i rappresenta un bell’esempio di “serendipity”, ovvero di scoperta “casuale” di un beneficio inatteso di un farmaco che prima veniva usato per tutt’altro – spiega Massimo Mapelli, del Dipartimento di Cardiologia critica e riabilitativa, coordinatore dello studio. In questo caso il farmaco era (e rimane) un farmaco anti-diabetico che però si è visto funzionare altrettanto bene, se non meglio, in pazienti con lo scompenso cardiaco senza diabete mellito II. Di conseguenza negli ultimi anni, e in particolare negli ultimi mesi, il farmaco è passato dalle mani dei diabetologi a quelle (anche) dei cardiologi. Al Monzino abbiamo prescritto dapagliflozin a 150 pazienti con scompenso cardiaco in 3 mesi, indipendentemente dal diabete, e abbiamo redatto il primo piano terapeutico in Lombardia”.

Il nuovo studio clinico prende in esame questa molecola, che appartiene appunto a questa classe farmacologica. Questi farmaci sono entrati di recente nella routine clinica. Pur avendo dimostrato la loro efficacia per alcuni aspetti dello scompenso, possono essere meglio valutati “sul campo” per studiarne tutti i benefici potenziali e comprenderne i meccanismi d’azione. Si punta ad arruolare un minimo di 70 pazienti per effettuare, per la prima volta, una valutazione multidisciplinare completa: esami ematochimici comprensivi di biomarcatori di nuova generazione, test da sforzo cardiopolmonare, prove di funzionalità respiratoria, analisi del sonno con le apnee notturne ed ecocardiogramma in tre dimensioni.

I 4 pilastri della terapia

I nuovi dati così raccolti permetteranno di fare il punto sulla terapia dello scompenso cardiaco con funzione sistolica ridotta (quindi con difficoltà da parte del ventricolo sinistro a “spingere” sangue ed ossigeno necessari per l’organismo) che negli ultimi anni ha conosciuto progressi straordinari, anche grazie alla scoperta di questa classe di farmaci. “Oggi possiamo parlare di “4 pilastri” della terapia anti-scompenso: uno sono gli Sglt2-i, poi i betabloccanti, gli anti-aldosteronici, e sacubitril/valsartan – continua Piergiuseppe Agostoni, Direttore del Dipartimento di Cardiologia Critica e Riabilitativa Monzino, Professore ordinario di malattie cardiovascolari all’Università di Milano. Questi farmaci hanno cambiato le linee guida e, se il trattamento viene iniziato precocemente nei primi stadi della cardiopatia, permettono davvero di curare questi malati ottenendo una riduzione di mortalità che, nelle ultime metanalisi, arriva al 61%. Non siamo mai stati così tanto vicini a “curare” l’insieme di problemi cardiaci chiamato scompenso, una malattia che negli stadi avanzati ha una mortalità simile se non peggiore di quella di molti tumori”.

Una grande innovazione terapeutica

Le glifozine (o Sglt2-inibitori), nate come anti-diabetici, rappresentano attualmente la più importante innovazione terapeutica dello scompenso cardiaco, in grado di ridurre mortalità e ricoveri anche nei pazienti non diabetici.  Lo scompenso cardiaco è una condizione purtroppo frequente e ha una prevalenza che aumenta negli anziani arrivando anche al 10%: causa un peggioramento della qualità di vita e della capacità di affrontare le attività quotidiane, e frequenti ricoveri per mancanza di respiro o accumulo di liquidi nell’organismo, fino a una maggiore mortalità.

Dalla penicillina al viagra

Quello delle glifozine, peraltro, è solo uno degli ultimi casi di serendipity di cui la storia della medicina è ricchissima. Basti pensare a quanto accaduto a Sir Alexander Fleming, che da una muffa formatasi in una coltura di stafilococchi ha estratto la penicillina dando il via alla moderna storia del trattamento delle infezioni batteriche. Oppure alla mano che ha dato il via ai raggi X. L’8 novembre del 1895, il fisico tedesco Wilhelm Roentgen realizzò la prima radiografia sfruttando i raggi X, che immortalava le ossa della mano della moglie e della sua vera. L’immagine, opaca, era legata a raggi sconosciuti, tanto da essere chiamati raggi X. Da allora, tuttavia, la radiologia ha fatto davvero tanta, tantissima strada. Un percorso che lo stesso Roentgen magari nemmeno ipotizzava.

Fino alla tossina botulinica

Nel mondo dei farmaci, gli esempi di serendipity si sprecano. Pensate a sildenafil, principio attivo del Viagra, studiato per patologie cardiovascolari e utilizzato per la cura della disfunzione erettile, oppure all’effetto di finasteride, nata come farmaco per l’ipertrofia prostatica che ha dimostrato efficacia nel contrastare la calvizie, o ancora alla tossina botulinica, con indicazione iniziale nel tremore muscolare, poi rivelatasi anche per la terapia di specifiche forme di emicrania.



www.repubblica.it 2022-05-16 10:19:09

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