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E adesso gli ospedali Usa fanno i conti con il fungo killer

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UN FUNGO killer resistente ai farmaci. Quello che potrebbe essere l’incubo di ogni infettivologo, è già una (piccola) realtà. Il lato positivo è che lo conosciamo e sappiamo come prevenirlo, quello negativo è che se arriva nel sangue di persone immunodepresse o in ospedale per gravi patologie, la mortalità può passare dal 30 al 50% e oltre. Stiamo parlando della Candida auris, un lievito imparentato con la variante albicans che causa la comune candidosi sessualmente trasmissibile, in grado di sviluppare un’infezione opportunista con più elevata resistenza agli antifungini.

Nuovi  focolai sono nati anche per il sovraffollamento negli ospedali legato al Covid. E’ successo in Giappone, poi in Bangladesh e ora anche negli Stati Uniti, in due strutture sanitarie del Texas e in un centro di assistenza a lungo termine di Washington Dc. Stesso problema anche in Brasile, dove un focolaio si è diffuso a Salvador. 

L’allerta

Il Centers for Disease Control and Prevention ha diramato un bollettino di allerta, mentre in Italia lo scorso marzo il ministero della Salute  ha inviato alle massime autorità un aggiornamento sull’infezione, sottolineando quanto sia “urgente e necessario allertare i laboratori di microbiologia clinica e tutte le strutture sanitarie del Paese al fine di implementare le capacità diagnostiche e le opportune misure di prevenzione e controllo della Candida auris, per evitare la diffusione di questo patogeno altamente infettivo, persistente e letale”.

“Se volessi evocare uno scenario da incubo per un agente patogeno resistente ai farmaci, sarebbe questo – ha detto al New York Times  Cornelius Clancy, infettivologo del Va Pittsburgh Health Care System – .Un’infezione fungina non trattabile rappresenta una grave minaccia per gli immunocompromessi, i trapiantati e i pazienti critici in terapia intensiva”.

Nel nostro Paese sono stati registrati finora non più di 20 casi ma la Candida auris ha “le potenzialità per una epidemia ospedaliera”, spiega il professore Francesco De Rosa, direttore del reparto di Malattie infettive della Città della Salute di Torino. “Senza fare inutili allarmismi, possiamo definirla un’infezione temibile ma in ambienti sanitari: questo perché riesce a svilupparsi in pazienti immunodepressi o che seguono lunghe terapie antibiotiche o cortisoniche, con manifestazioni gravi di malattia spesso anche dovuti alla patologia per cui si è in ospedale”. E in questo caso, l’igiene delle mani e la pulizia con i comuni disinfettanti potrebbe non essere sufficiente: Candida auris è ricoperta da un biofilm che rende meno efficace il perossido di idrogeno così come la clorexidina.

Le terapie

Ci sono tre classi di antimicotici usati per trattare le infezioni invasive: azoli, polieni ed echinocandine. Il 90% dei casi isolati risultano resistenti almeno ad uno dei tre e sempre più spesso se ne trovano con profili di resistenza più complessi, incurabili. Sebbene la resistenza agli azoli e ai polieni sia decisamente comune, l’1% delle infezioni è resistente anche alle echinocandine.

Attenti all’umidità

Il super-fungo si annida dappertutto, in particolar modo negli ambienti umidi. Può colonizzare bagni, letti, superfici e si trasmette da uomo a uomo per vicinanza e contatto. Questo perché “a differenza di altri, prolifera anche a temperatura ambiente. E’ stato isolato per la prima volta nell’uomo nel padiglione auricolare di un paziente giapponese nel 2009 e da allora abbiamo visto come può facilmente colonizzare e creare infezioni a livello sanguigno utilizzando porte di entrata come ferite, lesioni della cute, mucose e accessi venosi”.

 

Come identificarlo

Una stretta collaborazione con la microbiologia è la prima arma che si ha per identificarlo. “Accanto ad ogni infettivologo ci sono sempre un microbiologo e un laboratorio di microbiologia. La nostra specializzazione è diventata tristemente famosa con il Covid, ma da sempre tutti noi lavoriamo nell’ombra per combattere le infezioni, in particolar modo negli ambienti sanitari – sottolinea De Rosa –. Qui in Italia monitoriamo le infezioni ospedaliere da 40 anni, negli ultimi vent’anni si è alzata l’asticella dell’attenzione nel resto del mondo, questo oggi ci permette di conoscere bene la farmacoresistenza e di essere consci che il nostro è un lavoro complesso, con tanta ricerca scientifica. Ci servono nuove molecole in grado di affrontare questo genere di infezioni. Noi medici ospedalieri, invece, non dobbiamo abbassare la guardia e proseguire con una attenta sorveglianza per identificare precocemente i focolai”.

Le infezioni in ospedale

Le infezioni correlate all’assistenza intra-ospedaliera colpiscono ogni anno solo in Italia qualcosa come 284 mila persone, il 10% dei ricoveri in tempi pre Covid. E il numero dei morti oscilla tra i 4500 e i 7 mila. Secondo la Review on Antimicrobial Resistance, datata 2016, entro il 2050 le infezioni batteriche causeranno più morti del cancro, che già provoca 10 milioni di decessi l’anno. Questo se non usciranno allo scoperto nuovi patogeni.



www.repubblica.it 2021-08-03 08:04:18

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