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La radiologia rivoluziona la cura della sclerosi multipla

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DIECI anni fa parte per gli Stati Uniti per fare ricerca d’avanguardia in un campo poco esplorato in Italia: lo studio del tessuto cerebrale autoptico di pazienti con sclerosi multipla abbinata con studi di risonanza magnetica ad altissimo campo. Martina Absinta arriva così al National Institute of Neurological Disorders and Stroke (NINDS) per poi diventare assistant professor presso la Johns Hopkins University di Baltimora e continuare a studiare come l’infiammazione cronica a livello delle placche di sclerosi multipla (SM) impedisca al cervello di ripararsi in maniera appropriata, e dall’altra aprire la strada a nuovi potenziali approcci terapeutici per rallentare il processo degenerativo di questa malattia. Proprio nell’anno dello scoppio della pandemia, Absinta è tornata nel suo paese d’origine con un ricco bagaglio di ricerca e di esperienze internazionali da condividere con i colleghi italiani. Le sue ricerche e i risultati a cui hanno portato le sono valsi il Premio Rita Levi Montalcini, riconoscimento con cui l’Associazione Italiana Sclerosi Multipla, con la sua Fondazione FISM, valorizza i giovani ricercatori. “Sono profondamente onorata e vorrei ringraziare FISM e AISM per questo importante riconoscimento. Vorrei anche ringraziare tutte le persone con SM e le loro famiglie per essere attivi protagonisti della ricerca scientifica e dei suoi successi”.

Le ricerche

I neuropatologi avevano da tempo individuato, nei tessuti autoptici dei pazienti con forma progressiva di malattia, la presenza di un particolare tipo di lesioni chiamate “cronicamente attive” ma, fino a 10 anni fa, non erano state individuate dalla risonanza magnetica.” Proprio la nuova tecnologia, sviluppata con i macchinari a 7 Tesla, ci ha permesso finalmente di osservarle anche nelle immagini raccolte in vivo dai pazienti. Queste lesioni, specifiche della malattia umana, si espandono lentamente nel tempo e la demielinizzazione al loro bordo continua a danneggiare gli assoni per anni. Dobbiamo pensare di avere nel cervello degli hotspot (punti caldi, letteralmente) che continuano a procurare del danno senza esserne consapevoli”, spiega Absinta.

Nei pazienti, seguendo l’andamento di queste lesioni sin dalla loro nascita, si è visto che l’infiammazione ne impedisce la riparazione, rimanendo così completamente demielinizzate. “Nel 2019 un mio ulteriore studio ha mostrato come queste lesioni rappresentino uno dei fattori che contribuiscono alla progressione della sclerosi multipla: le persone con tante lesioni cronicamente attive hanno disabilità fisica e cognitiva ad esordio più precoce rispetto a coloro che non ne hanno”, continua la neurologa. Più recentemente, Absinta ha analizzato il profilo trascrittomico a singola cellula di oltre 66.000 cellule presenti sul bordo e nel centro della lesione cronicamente attiva in pazienti affetti da SM, oltre che nella sostanza bianca adiacente. Dopo averle messe a confronto con quelle di soggetti senza malattie neurologiche, la neurologa ha quindi ricostruito una mappa estremamente dettagliata delle popolazioni cellulari e delle loro interazioni. Ora questa mappa può aiutare l’identificazione di meccanismi cellulari e potenziali target terapeutici per fermare l’infiammazione cronica.

La prossima sfida

”Il prossimo passo è far in modo che questo “biomarcatore di risonanza”, ossia le lesioni cronicamente attive, entri nelle sperimentazioni cliniche di nuovi farmaci. È anche necessario studiare sempre meglio l’impatto delle terapie esistenti sulle lesioni cronicamente attive. Penso che questo sforzo sia parallelo a quello di identificare nuovi trattamenti neuro protettivi e riemielinizzanti”, conclude Absinta.



www.repubblica.it 2021-10-29 08:46:19

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