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Diritto all’oblio oncologico: al via campagna nazionale ‘Io non sono il mio tumore’

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Ottenere un mutuo, adottare un bambino, farsi assumere. Sono alcuni dei diritti spesso negati a chi ha avuto un tumore, anche se – come accade a quasi un milione di persone in Italia – ne è uscito. Il fatto è, però, che anche se clinicamente guariti per la burocrazia queste persone sono ancora malate e quindi restano in panchina. Per mettere fine a queste forme di discriminazione nell’accesso a molti servizi, sul modello di Francia, Lussemburgo, Belgio, Olanda e Portogallo, Fondazione Aiom lancia la prima campagna per il riconoscimento del Diritto all’oblio oncologico con l’obiettivo di ottenere una legge che tuteli le persone che hanno avuto una neoplasia.

Guardare al futuro

Oggi per richiedere molti servizi è necessario dichiarare se si è avuto il cancro, anche se si è già guariti. In questo modo, i pazienti rischiano discriminazioni nell’accesso a servizi come l’ottenimento di mutui, la stipula di assicurazioni sulla vita, l’assunzione in un posto di lavoro e l’adozione di un figlio. “Le persone guarite dal cancro devono essere libere di guardare al futuro senza convivere con l’ombra della malattia – afferma Giordano Beretta, presidente di Fondazione Aiom. Oggi sono 3,6 milioni i cittadini che vivono con una diagnosi di tumore. Il 27% di loro, circa un milione, è guarito. C’è una forte discriminazione sociale nei loro confronti, che deve essere combattuta. Come Fondazione Aiom abbiamo deciso di provare a cambiare le cose: con la campagna ‘Io non sono il mio tumore’, che prevede una raccolta firme e una guida sul Diritto all’oblio oncologico, vogliamo portare attenzione su un tema così importante. Abbiamo bisogno di trovare il consenso delle forze politiche per l’approvazione di questo essenziale provvedimento”.

Perché una legge

Per poter cambiare davvero le cose è necessario un provvedimento legislativo: “La legge – prosegue Beretta – permetterebbe di non essere più considerati pazienti dopo 5 anni dal termine delle cure se la neoplasia è insorta in età pediatrica e dopo 10 se ci si è ammalati in età adulta. Oggi, grazie all’innovazione dei percorsi terapeutici, molti tumori vengono curati e altri possono essere cronicizzati: per questa ragione i pazienti che vivono anche a molti anni di distanza da una diagnosi sono aumentati e così le persone che trarranno benefici da questo provvedimento”.

Quando un paziente può considerarsi guarito

Ogni neoplasia richiede un tempo diverso perché chi ne soffre sia definito ‘guarito’: per il cancro della tiroide sono necessari meno di 5 anni dalla conclusione delle cure, per il melanoma e il tumore del colon meno di 10. Molti linfomi, mielomi e leucemie e i tumori della vescica e del rene richiedono 15 anni. Per essere ‘guariti’ dalle malattie della mammella e della prostata ne servono fino a 20. “Il riconoscimento del diritto rappresenta la condizione essenziale per il ritorno ad una vita dignitosa ed è necessario all’abbattimento del connubio ‘cancro significa morte’, che crea barriere spesso insormontabili. Negli ultimi due anni molti Paesi europei hanno emanato una legge che garantisce agli ex pazienti il diritto a non essere rappresentati dalla malattia. L’Italia deve assolutamente seguire questo esempio”, sottolinea il presidente di Fondazione Aiom. 

La guida sul diritto all’oblio

A sostegno dell’iniziativa sono stati realizzati la prima guida sul Diritto all’oblio oncologico, un portale web e una forte campagna social, per promuovere la raccolta firme. Lo scopo è raggiungere 100 mila adesioni, che verranno portate al Presidente del Consiglio per chiedere l’approvazione della legge. Tutti potranno contribuire lasciando il proprio nome, sia online che nei reparti di oncologia e nelle piazze: pazienti, caregiver, familiari, cittadini. La guida è scaricabile dal sito e sarà distribuita negli ospedali, per informare chi ancora non è a conoscenza di questa situazione e invitarlo ad agire perché le cose possano cambiare.

Cosa ne pensano i pazienti

Il portale offre, inoltre, ai pazienti la possibilità di raccontare la propria storia, per mettere in luce il problema e condividere le esperienze. “La situazione difficile che molti ex-pazienti si trovano a vivere non è più accettabile – spiega Antonella Campana, vicepresidente di Fondazione Aiom e membro del coordinamento volontari di IncontraDonna. È necessario muoversi verso un futuro libero dallo stigma della malattia oncologica. La tutela dei diritti dei pazienti oncologici passa anche attraverso il riconoscimento giuridico di una guarigione dal cancro”.

“Noi pazienti – dichiara Monica Forchetta, membro del CDA di Fondazione AIOM e presidente APAIM, Associazione Pazienti Italia Melanoma –, sappiamo cosa significhi essere trattati da persone fragili, perennemente malate. La neoplasia spesso diventa un’etichetta, anche quando non c’è più. Oggi, però, le persone guarite sono così tante che è necessario rendersi conto dell’entità del problema e intervenire per risolverlo.”
 
“Riteniamo si tratti di una grande sfida etica e sociale, un cambio di paradigma che parte dai pazienti insieme alla cittadinanza, la comunità scientifica e le Istituzioni. Siamo sicuri che la raccolta firme metterà in luce il bisogno degli ex-pazienti di venire riconosciuti dalla società come persone sane – afferma Ornella Campanella, membro del CDA di Fondazione AIOM e presidente dell’associazione aBRCAdabra –. Vogliamo mettere la parola fine all’equazione ‘cancro uguale male incurabile’. Per alcune neoplasie sappiamo non essere ancora così, ma per molte è ormai realtà e quindi dobbiamo declinare le evidenze scientifiche nella vita di tutti i giorni e porre fine alle iniquità ancora oggi esistenti.”
 
“Chiediamo che tutte le associazioni, gli oncologi, i familiari, i caregiver, i medici di famiglia, gli infermieri e i cittadini si mobilitino con noi per il raggiungimento dell’obiettivo – conclude Lucia Belli, membro del CDA di Fondazione AIOM –. Siamo sicuri che troveremo anche le Istituzioni dalla nostra parte. Il paziente, una volta terminate le terapie, necessita di essere riconosciuto come curato e guarito: è anche il Codice Deontologico degli Infermieri a prevederlo, e noi, in quanto tali, abbiamo il dovere di valorizzare questo aspetto e ci impegneremo in questa direzione.”
 
 



www.repubblica.it 2022-01-21 10:40:49

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