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Incongruenza di genere, adolescenti in crisi fra ormoni e sentimenti. Serve una psico…

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L’ultimo numero del Journal of the American Medical Association, il mitico Jama, una delle più autorevoli riviste mediche al mondo, fondato nel 1883, contiene due articoli dedicati al benessere fisico e psicologico delle giovani persone transgender. Il primo, scritto da Diana Tordoff con il suo gruppo di ricerca, analizza depressione, ansia, pensieri autolesionistici e suicidari in un campione di 104 ragazze e ragazzi statunitensi, transgender e non-binari, tra i 13 e i 20 anni. Le valutazioni sono state effettuate al momento del primo contatto con il servizio clinico e poi a distanza di un anno dalla presa in carico. I risultati mostrano che alla prima valutazione i livelli psicopatologici sono molto alti, mentre, dopo un anno, i giovani che avevano intrapreso le terapie ormonali, messi a confronto con chi non le aveva iniziate, presentavano una riduzione del 60% del rischio di sviluppare una sindrome depressiva e del 73% di avvitarsi in pensieri suicidari.

I risultati di questo studio si inseriscono nell’ampio panorama di ricerche empiriche che dimostrano l’efficacia delle terapie ormonali nel ridurre, nelle giovani persone trans, le sofferenze legate alla disforia di genere. Tuttavia, gli interventi ormonali da soli non bastano. Nello studio di Tordoff il tasso di suicidio, pur ridotto di molto, dopo un anno risultava comunque più alto delle medie generali della popolazione americana.  Ciò significa che la presa in carico richiede che vengano affrontati anche altri aspetti, in particolare il “minority stress”, che è l’oggetto del secondo studio pubblicato su Jama, a cura di Doron Amsalem e collaboratori.

Stigma e depressione

Gli autori hanno concepito una ricerca per rispondere alla domanda: “Un video di 110 secondi di un protagonista transgender che descrive la sua storia di depressione può ridurre la transfobia adolescenziale e lo stigma legato alla depressione?”. E così sono stati reclutati circa 1.500 adolescenti ai quali veniva casualmente assegnata la visione di uno fra quattro video, nei quali 1) ragazze adolescenti transgender, 2) ragazzi adolescenti transgender, 3) ragazze adolescenti cisgender, 4) ragazzi adolescenti cisgender raccontavano (uno per video) il proprio modo di affrontare la depressione. I risultati della ricerca mostrano che i giovani cisgender a cui casualmente era capitato il video dei giovani transgender, presentavano una drastica riduzione degli atteggiamenti transfobici e stigmatizzanti. Conclusione: dare una voce e un volto (e non un’etichetta) alle esperienze dei giovani transgender consente agli adolescenti cisgender di sviluppare una posizione empatica nei confronti dei loro coetanei.

Il disagio

Quelli di Tordoff e Ansalem sono due studi importanti. Inquadrano due aspetti fondamentali del disagio vissuto dalle persone trans e non-binarie, due componenti che vanno considerate sempre nel loro intreccio: la disforia, legata a una forte insoddisfazione rispetto al proprio corpo, in particolare alle caratteristiche sessuali primarie e secondarie, su cui intervengono le terapie ormonali; e il “minority stress”, ovvero la sofferenza derivante dall’appartenere a una minoranza colpita e discriminata, che va contrastata su diversi piani: clinici, sociali, culturali.

È impossibile comprendere il dolore mentale (ma, è importante sottolinearlo, si registrano sempre più esperienze trans o non-binarie scevre da sofferenze di rilievo clinico) se non si tengono in considerazione questi due elementi – ormoni e sentimenti – ponderandone di volta in volta il peso specifico.

L’incongruenza di genere

Ricordiamo che quella che un tempo era chiamata sindrome del transessualismo, annoverata tra i disturbi mentali, oggi, più accuratamente descritta come incongruenza di genere, non è più considerata una patologia di per sé, ma, come recita la definizione del Manuale Diagnostico Psicodinamico (PDM-2), “un’esperienza psicologica che può richiedere un’attenzione clinica”. Attenzione legata, soprattutto in bambini e adolescenti, alla doppia traumaticità della percezione dell’incongruenza e del mancato supporto sociale e familiare legato al “minority stress”, fonte di molte sofferenze psicologiche e psichiatriche. I professionisti che lavorano nei servizi clinici spesso si trovano di fronte a quadri molto complessi, in cui il tema del genere è prigioniero di una rete di sintomi, da cui può essere difficile aiutare la persona a districarsi per esplorare i temi identitari. I giovani e le giovani trans, non-binari, o più genericamente confusi rispetto al genere, possono mostrare vulnerabilità a varie forme psicopatologiche. Il ruolo di psicologi e psicologhe, psicoterapeuti e psicoterapeute, è proprio quello di aiutare a orientarsi su sentieri complessi.

L’identità

La letteratura psicoanalitica recente ha messo in luce quanto sia importante per queste persone il riconoscimento, nella mente dell’analista, dei loro sentimenti più profondi legati all’identità. Nella relazione terapeutica uno dei principali bisogni di questi ragazzi è quello di essere visti non come “malati”, ma come “incongruenti”, riflettendo e accogliendo la loro percezione dolorosa di un corpo che non va d’accordo con i loro più profondi vissuti somatopsichici. Un mancato riconoscimento rischia di (ri)traumatizzarli, portarli a rivivere l’esperienza di non essere colti nella propria identità, come spesso è successo con i propri genitori o in altre relazioni importanti. È fondamentale che i clinici sappiano fornire questo riconoscimento, che non comporta una rinuncia all’esplorazione dei significati profondi legati al genere, all’indagine per esempio del peso di esperienze traumatiche nello sviluppo identitario. Ma il riconoscimento è sempre l’ingrediente centrale, senza di esso l’intervento clinico non promuove sviluppo né esito favorevole.

Il terapeuta

Gli ostacoli al riconoscimento possono essere subdoli. Alcune ricerche hanno indagato le reazioni controtransferali di terapeuti cisgender con pazienti transgender: ne è emersa una pletora di concezioni, percezioni ed emozioni non elaborate (per esempio angoscia per le modificazioni corporee, terrore della mutilazione/castrazione) autocentrate e non sintonizzate sui vissuti dei pazienti. Allo stesso tempo, è importante non ideologizzare, in nome di una politically correctness che ha poco a che fare con un atteggiamento terapeutico.

Per questo motivo, è fondamentale anche in Italia diffondere una cultura aggiornata e informata tra i professionisti e le professioniste in psicologia, psicoterapia, pediatria, psichiatria, che, a causa di vere lacune nei percorsi di formazione universitaria e professionale, hanno ancora poche conoscenze su tali argomenti. Il nostro compito come psicoterapeuti è salvaguardare le spinte creative nei percorsi delle identità, creando uno spazio d’ascolto e significazione che dia spessore alle necessarie semplificazioni delle etichette di genere.

Dialogare con l’adolescente

Il dialogo con l’adolescente che si scopre trans o non binario deve essere capace di integrare tutti gli elementi, anche i più segreti e accantonati, dell’esperienza interna. Facciamo dunque il nostro lavoro cercando di nutrire il corpo dei significati che i nostri giovani interlocutori attribuiscono alle differenze binarie, lavorando, come direbbe Judith Butler, anche sulla malinconia di ciò che inevitabilmente si perde. Interrogando sempre i cristalli del caleidoscopio identitario sia quando sono troppo solidi sia quando sono troppo liquidi.



www.repubblica.it 2022-04-04 11:43:14

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