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Tumori ereditari e rischio genetico: identificato solo un portatore su 10

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Sorvegliati speciali per poter essere curati nel modo più efficace possibile. Sono i portatori di alterazioni genetiche che spesso non vengono identificati perdendo così l’opportunità di accedere alla medicina di precisione che oggi consente buone chance di recuperare salute.

Purtroppo, oggi soltanto un portatore di alterazioni genetiche su 10, nonostante l’elevato rischio di insorgenza di neoplasie, viene effettivamente identificato, fra gli oltre mezzo milione stimati in Italia. Punta a cambiare la situazione la Fondazione Mutagens presentata in un media tutorial organizzato all’Istituto Superiore di Sanità a Roma.

 

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I tumori ereditari in Italia

Nel nostro Paese, sulla base di recenti studi internazionali che valutano la loro quota fino al 15-17% del dato complessivo, i tumori ereditari potrebbero essere circa 60 mila dei 377 mila casi totali annui. In circa 50.000-100 mila famiglie portatrici i componenti rischiano, in una misura variabile da 2 a 40 volte in più rispetto alla norma, di sviluppare un cancro, ma non ne sono consapevoli. È quindi indispensabile intercettare queste persone e queste famiglie, per inserirle in percorsi di sorveglianza, favorire l’accesso ai test genetici e genomici, rimuovendo gli ostacoli tecnologici e soprattutto amministrativi ed economici esistenti.

Curare e sorvegliare

Intercettare questi pazienti già diagnosticati consente di curarli nel modo più efficace grazie alla medicina di precisione e all’immunoterapia, di prevenire la ricomparsa di malattia nell’organo già colpito e lo sviluppo del tumore negli altri organi a rischio. “Mutagens è nata per iniziativa di un gruppo di persone portatrici di sindromi ereditarie, per rivolgersi sia a chi ha già sviluppato un tumore a causa di un’alterazione genetica, sia a chi è ancora sano ma potrebbe ammalarsi in futuro”, spiega Salvo Testa, presidente di Fondazione Mutagens. “Aiutiamo i primi a curarsi nel modo più efficace possibile, grazie alla medicina di precisione e all’immunoterapia, e a prevenire la ricomparsa della malattia e lo sviluppo di nuove neoplasie; inseriamo i secondi in percorsi di sorveglianza intensificata per migliorare la prevenzione secondaria e, dove possibile, quella primaria”.

Le sindromi ereditarie più diffuse

Le sindromi più diffuse sono la sindrome di Lynch, che coinvolge circa 215 mila persone in Italia, e quella del cancro alla mammella e all’ovaio (HBOC-BRCA), con circa 150 mila portatori.  Per le altre sindromi ereditarie rare – una cinquantina quelle finora identificate – si stimano altre 135 mila persone. Tra i tumori che più frequentemente presentano varianti patogenetiche costituzionali (cioè ereditabili) vi sono quelli della mammella (femminile e maschile), ovaio, stomaco, colon-retto, endometrio, prostata, vescica, pancreas e melanoma.

Una rete di riferimento

Per consolidare i protocolli di diagnosi, terapia e prevenzione è fondamentale creare una rete di centri di riferimento specializzati. “Recentemente siamo diventati Fondazione – continua Testa – , un importante primo traguardo che siamo fieri di aver raggiunto, perché ci permetterà di supportare i nostri progetti e la ricerca in modo più agile e solido, per il bene di tutte le persone di cui ci occupiamo. In questi ultimi mesi abbiamo stretto alleanze importanti, sia nel settore prettamente scientifico sia in quello clinico e del volontariato. Abbiamo avviato una convenzione con Alleanza Contro il Cancro, rete istituzionale che ci permette di sostenere la ricerca oncologica specifica sulle sindromi ereditarie, un protocollo d’intesa con l’Associazione Italiana Familiarità Ereditarietà Tumori (Aifet), nata proprio per occuparsi di questo tema, e portiamo il nostro contributo all’interno della Federazione italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia (Favo) cui siamo affiliati, perché le persone e le loro necessità sono il nostro primario interesse”.

Favorire la ricerca delle condizioni rare

Come rete nazionale di ricerca oncologica, l’Alleanza contro il Cancro (Acc) è in prima linea per quanto riguarda tutte le condizioni più ‘rare’, che spesso non godono dell’attenzione che meriterebbero. “Le neoplasie da alterazioni genetiche ereditarie – dichiara Ruggero De Maria, presidente Acc e direttore Patologia Generale all’Università Cattolica di Roma – costituiscono una parte significativa di tutti i tumori in Italia, un numero più alto rispetto a quanto si credesse in passato. Favorire la ricerca è fondamentale per salvaguardare la salute di tutte le persone portatrici e delle loro famiglie, inevitabilmente a rischio. Attraverso la collaborazione con Mutagens vogliamo offrire loro l’opportunità di un futuro più sereno per contrastare e dove possibile prevenire il cancro”.

La prevenzione nei soggetti sani

Un ruolo importante è anche quello svolto dalla Federazione Italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia (Favo): “La prevenzione secondaria è fondamentale per tutti i portatori di sindrome ereditaria, in particolare per le persone sane – afferma Elisabetta Iannelli, segretario generale Favo e partecipante onoraria Fondazione Mutagens. “Attraverso controlli puntuali, infatti, è possibile fare diagnosi precoce, individuare i tumori agli esordi e migliorare le chance di cura e di guarigione. Per i portatori di alterazione genetica è fondamentale usufruire di un supporto, anche di tipo psicologico, sia prima che la malattia sia manifesti, sia in fase di cura. Sono situazioni molto delicate, che vanno affrontate con l’aiuto di specialisti e il sostegno delle numerose associazioni pazienti presenti sul territorio. Condividiamo gli obiettivi di Mutagens e vogliamo che più persone possibili vengano a conoscenza dell’esistenza delle sindromi ereditarie: solo in questo modo aumenteranno gli screening e la diffusione dei test genetici e genomici, da effettuare su approvazione medica quando si ha il sospetto di essere portatori di un’alterazione nel proprio Dna”.

Un team di specialisti

A completare la ‘squadra’ che contribuisce alla Fondazione Mutagens è l’Associazione Italiana Familiarità Ereditarietà Tumori (Aifet) costituita da un gruppo di specialisti multidisciplinari tra cui chirurghi, senologi, gastroenterologi, genetisti, biologi molecolari, anatomo-patologi, oncologi, psicologi, ecc. “L’Aifet – aggiunge Cristina Oliani, presidente dell’associazione e direttore Uoc di Oncologia Aulss 5 Polesana Regione Veneto – riunisce l’interesse di tutti gli specialisti che intervengono nel percorso di ricerca, diagnosi, prevenzione mirata e cura dei tumori eredo-familiari e si pone come punto di riferimento per la formazione dei professionisti che intendono acquisire competenze in questo settore. Mutagens e Aifet porteranno avanti insieme progetti mirati a migliorare i percorsi di presa in carico e l’informazione sulle sindromi eredo-familiari, con la preziosa collaborazione di Favo. Si impegneranno inoltre a promuovere una rete nazionale dei Centri di Oncogenetica e a progettare e attuare un processo di certificazione di qualità per i Centri operativi nell’ambito delle sindromi di suscettibilità ai tumori che realizzino percorsi dedicati ai soggetti ad alto rischio oncologico”.

La strategia della riduzione del rischio

La sfida è estendere progressivamente lo screening con i test genomici e genetici al maggior numero di persone in cui si reputa probabile la presenza di una alterazione genetica. “L’esecuzione dell’esame al momento della diagnosi – afferma Pier Giuseppe Pelicci, segretario scientifico Alleanza Contro il Cancro e Co-direttore Scientifico Ieo – permette di identificare mutazioni somatiche ed eventualmente varianti patogenetiche costituzionali nei pazienti colpiti da neoplasia, stabilendo così un percorso terapeutico adeguato e, a cascata, di individuare tempestivamente anche i familiari portatori della stessa variante patogenetica, prima che sviluppino un carcinoma correlato alla sindrome ereditaria. Così è possibile attuare efficaci strategie di riduzione del rischio, che, ad esempio nei tumori della mammella e dell’ovaio, spaziano dalla sorveglianza intensiva alla chirurgia profilattica”. Tra l’altro, le persone con varianti patogenetiche costituzionali possono offrire un contributo straordinario alla ricerca: “Sono proprio loro, infatti, a ‘ospitare’ le informazioni di cui abbiamo bisogno per capire meglio questo fenomeno e trovare soluzioni valide e terapie sempre più mirate”, conclude Pelicci.



www.repubblica.it 2022-04-07 17:25:10

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