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Tumore del colon, una goccia di sangue dice se fare o meno la chemio

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Basterà un’analisi del sangue per capire se i pazienti con tumore del colon allo stadio II dovranno sottoporsi a chemioterapia dopo l’intervento chirurgico. Questa la speranza che viene da Chicago, dove è in corso il congresso dell’American Society of Clinical Oncology e dove i ricercatori del Johns Hopkins Kimmel Cancer Center e WEHI di Melbourne hanno presentato il loro studio sul potere predittivo del DNA tumorale circolante. Il materiale genetico che i tumori rilasciano nel sangue, infatti, può essere misurato e sulla base di questo punteggio si può decidere quale paziente abbia bisogno della chemioterapia e quale no. Evitando così inutili trattamenti aggressivi, effetti collaterali indesiderati e, in ultima analisi, anche un costo. I risultati sono stati pubblicati in contemporanea alla presentazione su New England Journal of Medicine.

“Studi precendenti hanno terorizzato che la misura del DNA tumorale circolante potesse essere utile nella gestione dei pazienti e questo studio dimostra con dati reali che quelle supposizioni erano corrette”, ha dichiarato Bert Vogelstein, codirettore del Ludwig Center alla Johns Hopkins e autore dello studio. Vogelstein e il suo gruppo di ricerca sono stati i primi a dimostrare che il cancro del colon è causato da una sequenza di mutazioni genetiche e che il DNA rilasciato dal tumore può essere trovato nel sangue, nelle feci e nei fluidi corporei. 

Attualmente l’uso della chemioterapia per i pazienti con tumore del colon allo stadio II – definito come un tumore che si è infiltrato nella parete del colon ma che non si è esteso ai linfonodi o ad altri organi – è controverso. Non c’è consenso fra gli esperti circa la sua efficacia. Se infatti allo stadio I la chemio non è necessaria, visto che la prognosi è molto favorevole, e allo stadio III è sostanzialmente scontata perché il rischio di recidiva è molto alto, allo stadio II è molto meno evidente quale sia la cosa giusta da fare. Lo studio ha quindi l’obiettivo di aiutare a risolvere questo dilemma grazie alla misura del DNA tumorale circolante, che potrebbe essere una misura accurata della probabilità di ricorrenza del tumore. 

Lo studio ha coinvolto 455 pazienti, con tumore del colon di stadio II e che avevano subito l’operazione chirurgica di rimozione, dividendoli in due gruppi: il primo ha ricevuto il trattamento standard, che consiste in un monitoraggio della situazione o chemioterapia, il secondo ha eseguito il test del DNA circolante e sulla base dei risultati si è sottoposto a chemio oppure no. L’uso del test ha ridotto l’uso della terapia rispetto allo standard (15,3% contro 27,9%) senza per questo mettere a repentaglio la vita dei pazienti: la sopravvivenza dopo 2 e 3 anni è simile nei due gruppi.

L’obiettivo della chemioterapia è quello di eliminare le micrometastasi, le cellule cancerose non ancora visibili con le immagini radiologiche che però viaggiano nel circolo sanguigno e da qui si muovono verso altri organi. Riuscire a individuarle con una semplice analisi del sangue sarebbe davvero un cambio di marcia importante nella pratica clinica. I ricercatori sperano che questi risultati stimolino ulteriori ricerche nel campo del DNA tumorale circolante in altri sottogruppi di pazienti, per esempio quelli con tumore allo stadio III per i quali potrebbe essere possibile capire come modulare la chemioterapia.



www.repubblica.it 2022-06-04 18:14:35

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