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Tumore del seno, la chemio “intelligente” rallenta la malattia

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Nell’era dell’immunoterapia e dei farmaci a bersaglio molecolare, la chemioterapia ha perso progressivamente sempre più interesse. Oggi però, complice il progresso nella capacità di creare nuovi “farmaci intelligenti”, la chemioterapia comincia ad avere una seconda vita, specialmente nel trattamento del tumore al seno. E’ questo il caso degli anticorpi coniugati, farmaci capaci di veicolare in maniera selettiva la chemio all’interno delle sole cellule tumorali. Ad ASCO, il congresso dell’American Society of Clinical Oncology in corso a Chicago, sono stati presentati due studi in cui l’utilizzo di sacituzumab govitecan – uno di questi nuovi farmaci – si è dimostrato utile nel trattamento del tumore al seno metastatico soprattutto in alcune sottocategorie di Her2 negativo e nel triplo negativo in cui non è possibile utilizzare l’immunoterapia e le terapie target.

Il trattamento dei tumori Her2-

“I tumori al seno – spiega Giampaolo Bianchini, responsabile della patologia oncologica della mammella presso il Dipartimento di Oncologia medica dell’IRCCS Ospedale San Raffaele – non sono tutti uguali. La scelta delle terapie si basa principalmente sulla presenza o meno di determinati recettori”. Tra quelli più diffusi c’è il tumore al seno HR+ Her2 negativo che rappresenta circa il 60-70% dei tumori al seno metastatici. In questi casi la cura standard prevede l’utilizzo di farmaci capaci di agire “contro” i recettori ormonali frenando la crescita del tumore, in combinazione con alcuni farmaci che sfruttano un altro bersaglio, CDK4/6, proteine implicate nella crescita delle cellule cancerose. 

La necessità di nuovi farmaci

Quando però la malattia progredisce nuovamente allora la strategia prevede l’utilizzo di altre combinazioni di chemioterapici. Per queste pazienti, che nonostante due o più linee di trattamento hanno una malattia in fase attiva, occorre trovare nuovi farmaci in grado di bloccare la crescita tumorale. Uno di questi è sacituzumab govitecan, una chemioterapia “intelligente” in cui a un anticorpo capace di riconoscere la proteina Trop2 sulle cellule tumorali vengono “legate” delle molecole di chemioterapico. “Si tratta di una sorta di cavallo di troia capace di massimizzare l’effetto della chemioterapia in quanto il farmaco viene veicolato selettivamente nell’area delle cellule tumorali”, spiega Bianchini.

Migliorare la gestione della malattia

Nello studio TROPiCS-02, presentato ad ASCO, nelle donne con carcinoma mammario metastatico positivo per i recettori ormonali ed Her2- negativo, già trattate con la terapia endocrina, con da due a quattro linee di chemioterapia e con inibitori di CDK4/6, è stata confrontata l’efficacia di sacituzumab govitecan con altre chemioterapie standard. Dalle analisi è emerso che il suo utilizzo ha permesso di ottenere un miglioramento statisticamente significativo della sopravvivenza libera da progressione. In particolare si è ridotto del 34% il rischio di progressione della malattia o di morte. In altre parole questo trattamento ha esteso quel periodo di tempo nel quale una persona malata di cancro continua ad avere la malattia senza che però questa abbia peggioramenti. “Questa soluzione – commenta Bianchini – rappresenta potenzialmente una nuova opzione di cura anche in questo setting con limitate opzioni terapeutiche. Ora sarà importante attendere anche i dati maturi relativi alla valutazione dell’impatto sulla sopravvivenza”.

Gli anticorpi coniugati nel tumore triplo negativo

Ma le novità sugli anticorpi coniugati non finiscono qui perché il loro utilizzo si è dimostrato utile anche nel tumore al seno metastatico triplo negativo, il sottotipo di tumore più difficile da trattare per assenza di target su cui agire. “La forma triplo negativa, in cui rientrano il 15% delle diagnosi di carcinoma mammario, non presenta i recettori degli estrogeni, del progesterone e della proteina HER2 – spiega Saverio Cinieri, Presidente AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica) -. Questo significa che non risponde alla terapia ormonale e ai farmaci che hanno come bersaglio HER2. È la forma più aggressiva, in cui il rischio di ricaduta a distanza aumenta rapidamente a partire dalla diagnosi e raggiunge il picco nei primi tre anni”. 

Ad ASCO sono stati presentati i dati sullo studio di fase III ASCENT su sacituzumab govitecan in pazienti con carcinoma mammario triplo negativo metastatico recidivante o refrattario che hanno ricevuto due o più precedenti terapie sistemiche, almeno una delle quali per la malattia metastatica, che rappresentano attualmente lo standard of care in seconda linea di trattamento. Dalle analisi è emerso che il farmaco ha migliorato la sopravvivenza mediana libera da progressione rispetto alla chemioterapia scelta dal medico e ha esteso la sopravvivenza globale mediana (OS) di quasi cinque mesi. Non solo, la sopravvivenza globale a due anni è risultata del 20,5% in chi ha utilizzato sacituzumab govitecan rispetto al 5,5% nel gruppo della chemioterapia scelta dal medico. “Lo studio ASCENT – commenta Cinieri – è importante perché dimostra che, grazie a una terapia mirata, è possibile migliorare significativamente non solo la sopravvivenza globale ma anche la qualità di vita, aspetto decisivo nel trattamento della malattia metastatica. Va, inoltre, considerato che il carcinoma mammario triplo negativo colpisce spesso donne giovani che si trovano nel pieno della loro vita familiare e professionale, come madri e lavoratici. In questi casi, la malattia ha un impatto profondo sull’intera famiglia. Da qui la necessità di opzioni terapeutiche innovative che garantiscano quantità e qualità di vita”.



www.repubblica.it 2022-06-06 14:24:06

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