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Per i malati rari l’assistenza domiciliare è insufficiente

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L’assistenza domiciliare per i malati rari non arriva alla sufficienza. È disomogenea, discontinua e carente. Eppure è proprio qui che occorrerebbe investire, perché è la via per alleggerire la pressione sugli ospedali e a tutto vantaggio dei pazienti e dei caregiver.

La fotografia sullo stato dell’assistenza domiciliare ai malati rari è contenuta nel 6° quaderno di OSSFOR –  Osservatorio Farmaci Orfani, e mostra lo stato dell’arte prima e dopo la pandemia. A ben vedere qualcosa è cambiato sì, ma poco. I dati raccolti nel quaderno arrivano da più fonti e contengono tanto i risultati del monitoraggio dell’assistenza domiciliare (fornita a livello nazionale e regionale) che le risposte e le percezioni dei pazienti, così come il punto di vista delle aziende produttrici di farmaci. La percezione, come riferito dai referenti dei Centri di Coordinamento malattie rare regionali, è che l’assistenza domiciliare funzioni per il malato cronico ma non per quello raro.

Ma non solo: appare erogata in maniera discontinua e “al minimo”, con alcuni servizi – come quelli riabilitativi o delle terapie farmacologiche al domicilio – particolarmente critici. Serve cambiarla, suggeriscono, potenziandola, sia in termini di durata che di personale, renderla quanto più interdisciplinare, “tagliarla” sul paziente così da rispondere ai bisogni di ciascuno.

I numeri

Il monitoraggio effettuato su dati che coprono circa il 76% della popolazione (oltre 45 milioni di abitanti) ci dice che nel 2020 hanno ricevuto un’assistenza domiciliare integrata 10.762 malati rari su 320.101 (circa il 3,4%, in leggera crescita rispetto all’anno precedente pre pandemia dello 0,1%). Rispetto a tutti i pazienti che hanno ricevuto ADI, quelli rari costituiscono l’1,6% (nel complesso, senza contare le variazioni regionali).

Assistenza integrata per i malati rari

Per assistenza domiciliare integrata (ADI) si intende un tipo di assistenza riservata ai casi più difficili da gestire, che prevede interventi di natura medico-sanitaria e sociali, ovvero cure infermieristiche, mediche, riabilitative, ma anche cura della persona e cure domestiche, per esempio. Per la maggior parte dei pazienti intervistati (circa il 60%) non è stata avvertita una variazione nel tipo di assistenza domiciliare ricevuta (metà dei quali la riceve attraverso il servizio sanitario nazionale, il restante attraverso voucher o assegni di cura-assistenza per l’assistenza domiciliare o strutture e associazioni private).

Hub territoriale e telemedicina

Sarebbe anche auspicabile, si legge ancora nel quaderno: “implementare in ogni ASL, come indicato da DM 71, almeno un Hub di assistenza territoriale per malattie rare collegato funzionalmente al Coordinamento Malattie rare della rispettiva Regione”. E sfruttare al massimo le potenzialità della telemedicina: “Nell’ADI la telemedicina è fondamentale se vogliamo far decollare la presa in carico dei malati rari”, commenta Paola Facchin, Coordinatore Tavolo Tecnico Interregionale Malattie Rare – Commissione Salute Conferenza delle Regioni: “L’accordo Stato Regioni del 2015 sull’uso della telemedicina per questi pazienti non è mai stato attuato, direi che è il momento di attivarsi”. Il collegamento tra i centri ospedalieri e il territorio – spiega – deve avvenire sotto responsabilità ben definite, perché si tratta a tutti gli effetti di prestazioni. Durante la pandemia, nel periodo di lockdown, l’assistenza è stata fornita con qualsiasi mezzo disponibile, dal telefono al pc: “Questa esperienza è stata utile perché chi impara a gestire un malato raro diventa più competente con gli altri pazienti. Ora occorre lavorare per attivare la consulenza tra Centri, perché ancora oggi c’è troppa migrazione tra le Regioni. La telemedicina – conclude – può aiutare, perché mette in connessione i centri con più esperienza e quelli che ne hanno meno”.



www.repubblica.it 2022-06-06 16:00:07

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