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Contro l’infarto avremo anche un “vaccino”

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Eugene Braunwald, padre della cardiologia moderna, ha definito il farmaco sperimentale anticolesterolo inclirisan il futuro “vaccino anti-infarto”, un’espressione che ha acceso qualche dubbio nella comunità scientifica. In effetti bisogna usare con cautela la parola “vaccino”, per evitare definizioni improprie ed eccessive speranze.

La definizione di vaccino

In base alla definizione dell’Aifa, i vaccini sono sostanze capaci di attivare il sistema immunitario per impedire l’infezione di malattie virali.

Tali sostanze “attivanti” possono essere microrganismi (batteri o virus) inattivati o uccisi, parti specifiche (antigeni) dei microrganismi o sostanze prodotte dal microrganismo stesso (tossine). In occasione della lotta al Covid-19, sono stati introdotti i primi vaccini a RNA, che sono in grado di portare all’interno della cellula la sequenza del codice genetico necessaria per la produzione della proteina virale bersaglio del sistema immunitario.

Si producono quindi anticorpi contro la proteina; così, se il soggetto entra a contatto con il virus, lo proteggono dall’infezione. Dunque, un vaccino non cura una malattia, ma la previene, anche se va detto che il concetto è in via di ridefinizione.

Perché si parla di “vaccino” anti infarto?

In oncologia esistono vaccini terapeutici in fase sperimentale. Lo scopo dei vaccini anticancro è insegnare al sistema immunitario dei pazienti a riconoscere le cellule tumorali per eliminarle. In cardiologia non ci sono situazioni sovrapponibili e quindi, nel senso stretto del termine, la definizione di “vaccino anti-infarto” non è perfettamente applicabile.

Perché dunque è stata utilizzata da un grande cardiologo come Braunwald? Per sensibilizzare medici e pazienti circa l’arrivo di una nuova classe di farmaci a RNA che agiscono con un meccanismo di “silenziamento genico” di precisione e hanno tossicità ridotta. Si tratta di molecole che interferiscono in modo mirato su specifici geni, disattivandoli.

Come funziona inclirisan

Nel caso di inclirisan, silenziando una sequenza di RNA messaggero a livello delle cellule del fegato, il farmaco modifica i meccanismi molecolari alla base della iperproduzione di colesterolo a bassa densità (Ldl), il cosiddetto “colesterolo cattivo”. Un altro punto chiave è che, come un vaccino e il suo richiamo, inclirisan si somministra con un’iniezione sottocute due volte l’anno in ambulatorio.

Questa modalità supera il grave problema dell’aderenza del paziente alle terapie quotidiane. Molti studi dimostrano come nel post-infarto fino al 40% delle prescrizioni farmacologiche vengano disattese per vari motivi nell’arco dei 12 mesi successivi all’evento, annullandone il beneficio e mantenendo alto il rischio di un secondo infarto.

Anche per questo, molti cardiologi, e anche noi al Monzino, crediamo moltissimo in questo farmaco d’avanguardia, che ha le carte in regola per diventare un salvavita per i pazienti ad alto rischio di infarto.

Un farmaco non per tutti

Come per tutte le terapie biologiche innovative e costose, questo farmaco non è per tutti. Al momento è riservato alle forme più gravi di ipercolesterolemia, non responsive ai farmaci tradizionali. Tuttavia, sono in arrivo nel prossimo futuro altri farmaci della stessa classe. Questa nuova frontiera terapeutica ci permetterà di ridurre ulteriormente il rischio cardiovascolare associato a ipercolesterolemia.

*Direttore scientifico del Centro Cardiologico Monzino, Irccs. Responsabile dell’Unità di biologia vascolare e medicina rigenerativa



www.repubblica.it 2022-06-10 05:28:00

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