Tutte le notizie qui
Backaout
Backaout

Colangiocarcinoma, adesso c’è una nuova terapia mirata

35

- Advertisement -


Da anni non si vedevano progressi nelle terapie per il colangiocarcinoma, un raro tumore dei dotti biliari molto difficile da trattare. Le cose, però, stanno per cambiare: l’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) ha infatti approvato la rimborsabilità di pemigatinib per il trattamento di pazienti adulti con tumore localmente avanzato o metastatico, in progressione dopo una precedente chemioterapia. Una terapia mirata, ben tollerata, che agisce rallentando l’evoluzione di quei tumori che presentano una specifica mutazione, la fusione o il riarrangiamento del recettore 2 del fattore di crescita dei fibroblasti (FGFR2).

Cos’è il colangiocarcinoma

Il colangiocarcinoma è un tumore raro che si forma nei dotti biliari all’interno del fegato (intraepatico) o all’esterno (extraepatico). In Europa si registrano 6-8mila casi ogni anno. Purtroppo, la maggior parte dei pazienti riceve la diagnosi quando ormai il tumore è in stadio avanzato e le opzioni terapeutiche sono molto limitate. Spesso la chirurgia non è più praticabile e i trattamenti sistemici come la chemioterapia non garantiscono una risposta duratura. La prognosi, dunque, è infausta: la sopravvivenza globale a 5 anni dalla diagnosi è inferiore al 20%. “Negli ultimi anni, però, sono cresciute le nostre conoscenze di tipo molecolare su questi tumori”, spiega Giordano Beretta, Direttore UOC Oncologia Medica ASL Pescara e Presidente Fondazione AIOM. “Oggi sappiamo quali sono le mutazioni geniche che ne guidano la crescita: circa la metà dei colangiocarcinomi intraepatici ha almeno una mutazione target che può essere colpita con farmaci a bersaglio molecolare”.

Ricercare le mutazioni

Per questo motivo, in una malattia dove le chance terapeutiche non sono elevate, è importante ottenere il prima possibile una profilazione completa delle mutazioni presenti, e per farlo è necessario che i centri siano organizzati in modo adeguato e che siano diffusi su tutto il territorio i Molecular Tumor Board, le task force in grado di valutare i singoli casi. “Se è vero che a oggi la prima linea di trattamento è per tutti la chemioterapia – aggiunge Beretta – a partire dalla seconda linea la presenza o l’assenza di determinate mutazioni può guidare la scelta di farmaci target”.

 

La prima terapia mirata

Nel 10-16% dei colangiocarcinomi intraepatici, in particolare, sono presenti specifiche alterazioni (fusioni o riarrangiamenti) del gene per il recettore 2 del fattore di crescita dei fibroblasti (FGFR2). Proprio queste sono il bersaglio di pemigatinib, che inibisce l’attività di FGFR2 mutato e riduce la proliferazione delle cellule tumorali. “I risultati dello studio clinico Fight-202 hanno dimostrato che nei pazienti che presentano fusioni o riarrangiamenti di FGFR2 la somministrazione del solo pemigatinib ha determinato un tasso di risposta globale del 37%”, spiega Filippo de Braud, Direttore del Dipartimento di Oncologia ed Emato-oncologia dell’Istituto Nazionale Tumori Milano: “Un valore a cui ha corrisposto un miglioramento clinico significativo e radiologicamente dimostrato, tanto che la sopravvivenza mediana riscontrata in questi pazienti è stata di 30 mesi rispetto ai 14 mesi ottenuti nei pazienti in cui la terapia non ha dato risposte. Pemigatinib è a oggi il farmaco con i migliori risultati in termini di attività in questa popolazione di pazienti e rappresenta una valida opzione di trattamento una volta che la malattia sia progredita dopo la chemioterapia”.

Chi è più a rischio

E’ alta la percentuale di pazienti che arriva alla diagnosi quando la malattia è ormai in fase avanzata, con conseguenze negative sulla qualità di vita, e per questo serve fare informazione: “I sintomi – spiega Giovanni Brandi, Direttore della scuola di specializzazione in oncologia medica dell’IRCCS Policlinico Sant’Orsola dell’Università di Bologna e fondatore di APIC (Associazione Italiana Pazienti Colangiocarcinoma) e GICO (Gruppo Italiano Colangiocarcinoma) – spesso non sono evidenti nella fase iniziale, ma si possono individuare categorie più a rischio, come chi è affetto da colangite sclerosante e da cirrosi biliare primitiva o da steatosi epatica. “In tutte queste persone sarebbe opportuno prevedere controlli periodici”.

L’approvazione di pemiganitib è una notizia che riaccende le speranze dei pazienti, consapevoli della gravità della prognosi. “Una volta arrivati alla seconda linea di trattamento, i pazienti sanno che la chemioterapia non offre più grandi vantaggi, a fronte di importanti effetti collaterali”, conclude Brandi. “È quindi naturale che la notizia di un farmaco che rappresenta una vera alternativa alla chemio sia per loro molto importante, anche se coinvolge solo la limitata popolazione di malati che ha la mutazione target. La speranza è che farmaci come questo possano essere sempre più sviluppati e messi a disposizione, in modo che possano essere usati non solo in fase molto avanzata o al fallimento della prima terapia, ma sin dall’inizio”.



www.repubblica.it 2022-06-28 15:23:21

This website uses cookies to improve your experience. We'll assume you're ok with this, but you can opt-out if you wish. Accept Read More