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Epilessia: l’importanza dei ritmi sonno-veglia

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È una relazione doppia quella che lega il sonno all’epilessia. Da un lato dormire bene e con continuità protegge dalle crisi epilettiche, da un lato invece è nel sonno che la malattia può vivere il momento più florido nel corso delle 24 ore, dove è più facile che si manifestino le crisi epilettiche.

Un gioco di equilibrio, cui è importante prestare attenzione, perché il sonno, ma più in generale i ritmi circadiani, pesano sulla malattia, al punto da considerarli parte integrante della terapia. Ne è convinto Claudio Liguori, medico specialista in Neurofisiopatologia Ambulatorio Disturbi del Sonno, Epilessia, Malattia di Parkinson UOC Neurologia Policlinico Tor Vergata – Roma.

I diversi tipi di attacchi

Liguori a Ginevra, dove si è svolto il congresso europeo dell’epilessia della ILAE (International League Against Epilepsy), ha illustreto le promesse dello studio del ritmo sonno-veglia come strumento per migliorare il trattamento delle crisi epilettiche. Partendo appunto dal doppio filo che lega il sonno all’epilessia: “Il sonno cambia ciclicamente nel corso della notte, con un’alternanza di sonno REM e sonno non REM, con delle oscillazioni al suo interno a sua volta. È un processo altamente dinamico e questo rende più facile che si manifestino alterazioni epilettiche. Questo vale tanto per le crisi, ci sono alcune forme di epilessia che si manifestano soprattutto nel corso del sonno, che per le manifestazioni intercritiche, ovvero anomalie che non diventano crisi ma sono indicative della forma di patologia”, ci spiega.

La buona qualità del sonno protegge dalle crisi

Ma d’altra parte un sonno senza risvegli, con una buona quantità di sonno REM, protegge dalle crisi, continua Liguori: “Un cervello non adeguatamente riposato è un cervello dove è più semplice che avvengano delle scariche, per una questione di eccitabilità corticale, che aumenta in caso di deprivazione di sonno. E poiché l’epilessia è un fenomeno negativo dell’eccitabilità corticale, più c’è eccitabilità corticale, più c’è il rischio di avere una manifestazione epilettica”.

Quali sono i ritmi migliori

L’ideale sarebbe auspicare a un’alternanza ritmo sonno-veglia ben bilanciata, che preveda attività fisiche e mentali di giorno, evitando di addormentarsi e riposare troppo spesso, così da relegare il riposo, buono, alla notte. Il sonno, ma più correttamente il ritmo sonno-veglia, va studiato perché può diventare parte della terapia, può ottimizzarla: “Dobbiamo muoverci dal guardare solo una fetta delle 24 h a guardare tutte le 24 h, studiando anche la veglia che precede il sonno. Tutto questo in un’ottica di ottimizzare la terapia, di trovare e collocare i farmaci ai giusti orari, e far conciliare i benefici del farmaco con buon sonno e veglia adeguata – riprende Liguori – I farmaci spesso tendono a dare sonnolenza, quindi se si eccede con la terapia diurna si rischia che il paziente sia meno attivo e meno lucido perché più stanco e assopito dai farmaci”.

L’importanza dell’igiene del sonno

Il ritmo sonno-veglia è spesso alterato, e non solo in relazione alle abitudini sociali che ci portano a rimanere alzati, studiare, lavorare fino a tardi, e a dormire meno: “Anche in pazienti che stanno bene si osservano delle secrezioni di melatonina alterate o alterazioni del ritmo sonno veglia, al punto da far credere che questa sia una caratteristica intrinseca della malattia – racconta Liguori – questo dovrebbe spingerci ancora di più a pensare non solo a trattamenti farmacologici contro l’epilessia, ma anche a modulazioni del ritmo sonno-veglia, con una buona igiene del sonno, approcci di terapia cognitivo-comportantementale, senza intervenire necessariamente con farmaci o interventi farmacologici diversi, di cronoterapia appunto, ovvero che tengano conto di quelle che sono le caratteristiche del ritmo circadiano del paziente”.

Una guida dal medico sulle attività da svolgere

Di tutto questo si parla ancora poco nella pratica clinica, complice anche a volte la mancanza di competenze sia di epilessia che di medicina nel sonno nel neurologo che segue il paziente. Che oltre a prescrivere farmaci potrebbe fornire dunque indicazioni di psicoeducazione del sonno, a partire dalla conoscenza del suo ritmo sonno veglia, mirando a migliorare la vigilanza di giorno e il sonno notturno, correggendo le attività del paziente.

“Oltre alle regole generali di andare a dormire a un orario regolare, mantenere 7/8 ore di sonno, cercare di non assumere sostanze eccitanti, dovremmo puntare a rendere il paziente attivo di giorno, con attività sportive magari relegate al mattino, osservando una corretta esposizione alla luce, a partire dal non utilizzare gli occhiali da sole la mattina perché non aiutano a far diminuire i livelli di melatonina e ci fanno svegliare più tardi. A volte non viene considerata abbastanza l’importanza di queste indicazioni di base mentre può fare la differenza, perché basta anche una sola notte di deprivazione di sonno per innescare il ripristino di una crisi epilettica nonostante un periodo di benessere prolungato”, conclude Liguori.



www.repubblica.it 2022-07-14 13:04:13

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