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Colangiocarcinoma, in una persona colpita su 4 viene scoperto per caso

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Il colangiocarcinoma è una malattia rara e difficile da scoprire. Tanto che un caso su 4 viene scoperto per caso, nel corso di indagini eseguite per altri motivi. Ed è per questo che ancora oggi il 70 per cento delle diagnosi avviene in fase avanzata, quando le possibilità di trattamento sono molto limitate: ad oggi, la sopravvivenza a 5 anni è pari solo al 17% negli uomini e al 15% nelle donne.

I passi in avanti sono stati fatti in tutti gli ambiti della cura negli ultimi anni, ma non basta: devono essere accompagnati da un cambiamento culturale nell’approccio alla malattia. Vanno sensibilizzati i medici non specialisti, perché sappiano riconoscere i primi segni della neoplasia, e va istituito un registro dei centri di riferimento, che possono garantire un approccio multidisciplinare con team dedicati. Inoltre tutti i pazienti devono essere sottoposti alla profilazione genomica, per individuare eventuali alterazioni molecolari per la scelta della migliore terapia. Le richieste vengono dai clinici oggi in una conferenza stampa virtuale.

Le difficoltà dalla diagnosi alla cura

Neoplasia rara, sì, ma in costante crescita, e ogni anno in Italia si stimano circa 5400 nuovi casi. L’età di insorgenza della malattia, parallelamente all’aumento della sua incidenza, sta cambiando: storicamente la maggior parte delle diagnosi riguardava persone dai 60 ai 70 anni di età, in media, mentre oggi sta scendendo. Nei pazienti con mutazioni genetiche del tumore, in particolare, spesso le diagnosi riguardano persone giovani, dai 40 ai 50 anni di età.

Una delle complessità del colangiocarcinoma, inoltre, è che comprende al suo interno uno spettro di tumori diversi. In generale, comunque, la scarsità di sintomi e la loro aspecificità non consentono di scoprirlo in tempo.

 

Fattori di rischio e campanelli d’allarme

Anche i fattori di rischio sono ancora poco noti. Negli ultimi anni, comunque, l’insorgenza nel mondo occidentale è in aumento, e i medici hanno notato una correlazione con alcune malattie dello stile di vita moderno, come la sindrome metabolica. “La malattia sicuramente correla con malattie croniche del fegato non alcoliche, che sembrano essere un fattore di rischio per il colangiocarcinoma intraepatico”, dice Lorenza Rimassa, Professore Associato di Oncologia Medica presso Humanitas University, IRCCS Humanitas Research Hospital di Rozzano (Milano).

“Tra i fattori di rischio vi sono la sindrome metabolica, l’obesità, la steatosi e cirrosi epatica, l’epatopatia cronica, l’abuso di alcol e il fumo di sigaretta. Ma, nella maggior parte dei casi è difficile identificare una specifica causa, e non ci sono ancora abbastanza conoscenze per mettere in atto programmi di screening”.

Quando è possibile avere un sospetto? “Se permangono, se la perdita di peso continua, e con essa la difficoltà a digerire, il dolore addominale – suggerisce Rimassa – è sicuramente opportuno fare un esame del sangue e una ecografia addominale. Se compare l’ittero è più semplice per il paziente notare che qualcosa non va, mentre per quanto riguarda la comparsa di forme intraepatiche con sintomi aspecifici e sfumati, il ruolo del medico di famiglia è importantissimo”.

Ma non solo: “Valutazione in un centro di riferimento, discussione del percorso di cura da parte di un team multidisciplinare e profilazione molecolare per la ricerca delle mutazioni sono i tre passaggi fondamentali per garantire la migliore assistenza ai pazienti con colangiocarcinoma. È importante – ribadisce l’esperto – che venga istituito quanto prima un registro dei centri di riferimento che trattano ogni anno un alto volume di casi, seguendo l’esempio delle Breast Unit per il carcinoma della mammella”. Proprio l’approccio multidisciplinare e la profilazione genomica sono stati al centro del convegno nazionale “FIrST-in Colangiocarcinoma”, che si è svolto recentemente a Napoli (i materiali del convegno sono disponibili sul sito www.colangiocarcinoma.net).

I due tipi principali di tumore

Il colangiocarcinoma è un tipo di tumore primitivo del fegato che ha origine dai colangiociti, le cellule che rivestono i dotti biliari, cioè i canali che trasportano la bile dal fegato all’intestino. Si distingue, in base alla sede d’insorgenza, in intraepatico, se si sviluppa all’interno del fegato, ed extraepatico, se nasce dalle vie biliari extraepatiche. Il primo, quello intraepatico, è anche il più difficile da diagnosticare.

All’interno del fegato, infatti, non c’è innervazione, e finché il tumore non arriva alla capsula che avvolge l’organo – ed è altamente innervata – o cresce al punto di compromettere la funzionalità del fegato stesso, è difficile accusare sintomi allarmanti o chiari. Si possono accusare invece alcuni sintomi iniziali aspecifici come dolore addominale, perdita di peso, difficoltà digestive e nausea. Nel caso del colangiocarcinoma esterno, invece, questo finisce spesso per occludere le vie biliari e causare ittero, urine scure, feci biancastre e prurito (per l’aumento dei livelli di sali biliari nel sangue).

 

Il ruolo della chirurgia

Tutte le forme tumorali che vanno sotto il nome di colangiocarcinomi sono infrequenti e, solitamente, hanno una prognosi negativa. Il trattamento di prima scelta è rappresentato dalla chemioterapia, in alcuni casi associata all’immunoterapia, che non è risolutiva ma contribuisce a controllare l’evoluzione del tumore, anche se nella maggior parte dei pazienti la malattia si ripresenta.

Ma esiste un’altra possibilità, molto più rara e molto più efficace, quella chirurgica. “La chirurgia, se effettuata sulla malattia in stadio iniziale, può avere esito risolutivo”, spiega Alfredo Guglielmi, Professore Ordinario di Chirurgia Generale ed Epatobiliare all’Università di Verona. “Purtroppo, solo il 25% dei pazienti è candidato all’intervento, che è particolarmente difficile perché richiede l’utilizzo di tecniche avanzate, chirurghi con una formazione specifica, team multidisciplinari e centri di alta specializzazione”.

Con l’affinamento delle tecniche chirurgiche, questi interventi sono diventati sempre più sicuri e possono garantire buoni risultati a lungo termine. “Si procede con la resezione epatica per il colangiocarcinoma che cresce all’interno del fegato – riprende l’esperto – e con la resezione del pancreas per il tumore che si sviluppa al di fuori dal fegato o dentro la testa del pancreas. Il trattamento chirurgico mira alla rimozione completa della neoplasia. In molti casi, dopo l’intervento è indicata una chemioterapia precauzionale”.

I pazienti candidati all’intervento, spiega Guglielmi, devono essere accuratamente selezionati. Il tumore, infatti, deve presentare margini negativi netti, ovvero deve poter essere rimosso completamente e, alla sua rimozione, deve essere associata anche l’asportazione dei linfonodi per evitare le metastasi. Questi pazienti hanno una sopravvivenza fino a cinque anni, un periodo davvero lungo, considerando che i dati sulla sopravvivenza media sono di circa un anno. È fondamentale, comunque, per scegliere la terapia più adeguata per il paziente e per stabilire anche il trattamento pre e post chirurgia, costruire un team multidisciplinare, composto da radiologo, endoscopista, gastroenterologo, oncologo e radioterapista.

Alla ricerca di mutazioni genetiche

“Circa la metà dei colangiocarcinomi intraepatici presenta una o più mutazioni geniche, alcune trattabili con farmaci a bersaglio molecolare”, spiega Giancarlo Pruneri, Ordinario di Anatomia Patologica all’Università degli Studi di Milano e Direttore del Dipartimento di Patologia e Medicina di Laboratorio della Fondazione IRCCS Istituto Nazionale Tumori di Milano.

“L’analisi anatomo-patologica e la stadiazione del tumore devono sempre accompagnarsi alla ricerca di mutazioni, da eseguire tramite le nuove tecniche di sequenziamento genico”. Oggi, in particolare, a partire da un piccolo prelievo è possibile identificare contemporaneamente le mutazioni di centinaia di geni.

Il test NGS (Next Generation Sequencing) ne è un esempio: è in grado di analizzare oltre 300 mutazioni geniche e può individuare le alterazioni molecolari da minime quantità di tessuto. Una delle mutazioni più diffuse, presente nel 10 per cento dei colangiocarcinomi intraepatici, è quella del gene FGFR2 (fusione o il riarrangiamento del recettore 2 del fattore di crescita dei fibroblasti) (FGFR2). Si presenta, secondo le statistiche recenti, in maniera prevalente nelle donne giovani.

Il nuovo farmaco mirato

Prima di oggi tutte le forme di colangiocarcinoma venivano trattate allo stesso modo con chemioterapia e immunoterapia. Ora una nuova terapia mirata, disponibile da pochi mesi in Italia, ha dimostrato di essere efficace nel trattamento delle forme tumorali avanzate con particolari alterazioni genetiche, e consente di migliorare le possibilità di sopravvivenza, garantendo una buona qualità di vita durante il trattamento. Il farmaco pemigatinib, un inibitore di FGFR2, ha dimostrato di offrire un importante beneficio in termini di risposte obiettive, cioè di riduzione delle dimensioni del tumore, nel 37% dei pazienti. Inoltre ha evidenziato una sopravvivenza mediana di quasi un anno e mezzo (17,5 mesi).

“Un risultato molto importante, perché siamo di fronte a pazienti pretrattati – sottolinea Rimassa -. Per comprendere la portata del dato, basta pensare che nella prima linea di trattamento con la chemioterapia la sopravvivenza mediana è di circa un anno”.

“Questo farmaco sembra davvero poter fare la differenza”, dice Onofrio Mastandrea, Associate Vice President e General Manager di Incyte Biosciences Italia, l’azienda che ha sviluppato il farmaco. “Pemigatinib rappresenta la prima terapia target approvata nel colangiocarcinoma e la vera grande novità dopo oltre un decennio nel trattamento di questa patologia. I prossimi sviluppi della molecola sono sicuramente nella prima linea, attraverso uno studio di fase tre in confronto con la chemioterapia. Siamo al fianco dei clinici e delle società scientifiche per migliorare la cura del colangiocarcinoma, anche promuovendo il lavoro dei team multidisciplinari”.



www.repubblica.it 2022-09-28 15:21:56

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