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Fibromialgia, la malattia invisibile (per gli altri)

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Passare anni con disturbi gastrointestinali, dolore diffuso a ogni parte del corpo, stanchezza cronica, svegliarsi la mattina senza sentirsi mai riposati. Poi, un giorno, vedere un documentario per svago, dopotutto chi non conosce Lady Gaga? E improvvisamente riconoscersi nei sintomi. Questo è successo a Susanna, affetta da fibromialgia, a cui sono bastati cinque minuti di “Five Foot Two” per comprendere ciò che per anni era stata solo una sofferenza senza nome. Eppure, quel nome, lei lo cercava disperatamente.

La risposta? Stress o stanchezza

“È stress!”, le dicevano, “non tutti lo gestiscono allo stesso modo”, “Sarai solo un po’ stanca”. E pigri lo si diventa veramente, perché il dolore e la preoccupazione per un corpo che chiede aiuto senza poter ricevere risposta tolgono ogni possibilità di riposo. Nel pensiero comune, solo le malattie cosiddette “rare” hanno bisogno di tempo e ostacoli da superare per ottenere una diagnosi. Nei fatti, ci racconta il dottor William Raffaeli, esperto in Terapia del dolore, la fibromialgia colpisce il 2.5-3.5% della popolazione mondiale, solo in Europa 14 milioni di persone, con un’incidenza quasi prettamente femminile (80-90% dei casi).

Otto anni per una diagnosi

In queste percentuali c’è anche Susanna, che ci ha messo più di otto anni a ottenere una diagnosi. Come per tante persone affette da malattie invisibili, anche per lei questo è stato un momento di sollievo e liberazione, che ha preceduto un lungo e duro lavoro di accettazione della malattia e dei suoi limiti. Nel suo caso, infatti, tutto questo è coinciso con l’esigenza di dover lasciare il lavoro a causa dei sintomi ormai invalidanti e uno stile di vita dai ritmi serrati, in cui non le era concesso fermarsi ad ascoltare il suo dolore, pena la mancanza di produttività. Ammettere di dover cambiare obiettivi e strade costruite tempo prima spesso richiede un aiuto psicoterapeutico, che si somma alle già abbondanti spese di gestione e terapia della fibromialgia. Un costo che, nel caso di Susanna, si attesta sui tremila euro all’anno tra visite e medicine.

Una terapia da 4 anni

Lei infatti segue una terapia farmacologica da quattro anni e, nonostante alle volte cambi a causa dei periodi di vita che sta attraversando o con il passare delle stagioni – il dolore peggiora con il freddo umido e migliora con il caldo secco, sottolinea Raffaeli – è riuscita a trovarne una, dopo vari tentativi, che fa al caso suo. Ma non è stato facile: anche i manuali di medicina sottolineano la difficoltà nel trovare una cura che sia efficace perché la malattia, interessando principalmente l’anatomia femminile, non è stata studiata in maniera approfondita, lasciando spesso intendere, come succede per la maggior parte delle patologie invisibili che colpiscono le donne, che si tratta di un problema psichiatrico.

Serve un piano multidisciplinare

Effettivamente, non basta la pastiglia di antinfiammatorio, ma è necessario agire secondo un piano multidisciplinare oltre alle medicine che, spesso, non danno alcun risultato. Questo, il dottor Raffaeli, lo sa bene: “Se il mal di testa risponde benissimo agli analgesici antinfiammatori quali Fans o paracetamolo, oppure la depressione ad antidepressivi, definire una cura per il dolore cronico quotidiano è molto complesso”. È necessario lavorare su un nuovo stile di vita, che prevede una dieta ragionata, metodi per ridurre lo stress e un certo tipo di movimento, fondamentale per rafforzare i muscoli e per rilasciare endorfine, e quindi per combattere in parte il dolore cronico.

Imparare ad ascoltarsi

Ma ciò che Susanna ha dovuto imparare da zero, per scendere a patti con una malattia che non ha rimedio, è ascoltarsi: dare priorità al suo corpo e a ciò che sentiva, assecondandolo. Questo le è stato possibile proprio grazie alla psicoterapia, un percorso tanto doloroso quanto necessario per chi soffre di dolore cronico e che, da un giorno all’altro, vede portarsi via i progetti di una vita intera. La sensazione di fallimento è, in questi casi, forse il male più forte dopo quello muscolare. Non è quindi solo il corpo a soffrire di fibromialgia: è difficile accettare di diventare un’altra persona, è difficile non poter compiere normali sforzi richiesti dalla vita quotidiana. Susanna soffre della cosiddetta fibro-fog, ovvero una sensazione di confusione mentale che provoca scarsa concentrazione e vuoti di memoria, tanto da arrivare a dimenticarsi azioni appena fatte.

Si diventa invisibili con il proprio dolore

Chi soffre di fibromialgia come Susanna, di vulvodinia o di altri mali non ancora riconosciuti come malattie vere e proprie, finisce per risultare invisibile non solo a un sistema sanitario che non sa e non può tutelare i pazienti da un punto di vista economico e medico, ma anche a tutte le persone che fanno parte della propria quotidianità. Non avendo un dolore visibile o degli esami che possano effettivamente certificare la legittimità del loro dolore, le donne come Susanna tacciono e perdono sicurezza anche nelle loro stesse sensazioni.

Dove lo Stato si dà assente, quindi, deve intervenire la fiducia in noi stessi: credere al dolore e non avere paura di esporsi parlandone non solo con i medici. È necessario vincere le ritrosie di chi crede che siamo pigri, depressi o molto stressati. Susanna, con la sua storia, vuole insegnarci proprio questo: a non avere paura di fermarsi e di ricostruirsi, e di farlo alzando la voce.



www.repubblica.it 2022-10-06 10:39:17

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