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Violenza sulle donne: 7 segnali di allarme per prevenire il femminicidio

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Quando ci troviamo di fronte a casi di femminicidio come quello di Giulia Cecchettin e veniamo a conoscenza delle storie di abusi e morbosità che ne sono alla base, a posteriori è comune chiedersi come abbia potuto non comprendere la pericolosità di una relazione così tossica. La verità è che, anche se esistono segnali di allarme che potrebbero predire la violenza del proprio partner, non è scontato coglierli.

È un fenomeno comune e complesso idealizzare le persone a cui vogliamo bene, focalizzandoci sulle loro caratteristiche positive, trascurando o minimizzando i loro difetti, attribuendo qualità e intenzioni che potrebbero non essere del tutto veritiere. Ma è importante riconoscere che i segnali di abuso e violenza possono essere estremamente difficili da interpretare, soprattutto quando si è “intrappolati” all’interno di una relazione.

Riconoscere i segnali di abuso

La natura subdola degli abusi può far sì che i segnali non siano immediatamente evidenti. Si tende a pensare che il proprio uomo, amico, ex, vicino di casa, conoscente, stalker non possa arrivare a tanto. Coloro che abusano sono spesso in grado di nascondere il proprio comportamento distruttivo dietro una facciata di normalità. In molte situazioni, la vittima può trovarsi in uno stato di disorientamento, manipolata emotivamente a credere che la colpa sia sua o che il partner cambierà. Ma, come detto dallo stesso papà di Giulia, Gino Cecchettin, “mostro è qualcosa di eccezionale, ma nel caso di quasi tutti i femminicidi stiamo parlando di normalità: dobbiamo capire quali sono le cause che portano una persona normale a commettere certi gesti”.

La ricerca

Proprio in questa direzione, una nuova ricerca, pubblicata su Social Psychological and Personality Science, ha identificato una serie di pensieri, sentimenti e comportamenti che non sono considerati abusivi ma che a tutti gli effetti rappresentano un segnale di allarme, la cui frequenza può predire la violenza.

Lo studio condotto dai ricercatori dell’University of Western Ontario su persone vittime di violenza dimostra che gli indizi possono essere subdoli, mal interpretati ma anche molto diversificati fra loro. Ma è il “fattore tempo” spesso a predire l’avvicinarsi di un abuso generale, fisico, psicologico o sessuale. Spesso capita che s’inizi in modo graduale, con comportamenti apparentemente innocui che si trasformano lentamente in un ciclo vizioso. Il che porta la vittima a sentirsi isolata e incapace di chiedere aiuto a causa delle minacce dell’aggressore o per la paura delle ripercussioni che ne potrebbero derivare.

Lo sanno bene le persone vittime di violenza che hanno preso parte a questa ricerca. In 147 hanno valutato la coerenza di 200 pensieri, sentimenti e comportamenti violenti e non basati su una revisione della ricerca esistente sul tema, indentificandone la frequenza. Poi altri 355 partecipanti hanno identificato i segnali di allarme che avrebbero potuto prevedere la violenza, sei mesi dopo che era avvenuta.

Sette segnali d’allarme

Sono sette i segnali di allarme emersi come predittori. Si va dal più innocuo “Il mio partner si è comportato in modo arrogante o presuntuoso” che diventa “Il mio partner ha reagito negativamente quando ho detto di no a qualcosa che voleva” e “Il mio partner ha ignorato il mio ragionamento perché non era d’accordo con il mio pensiero iniziale”. Queste tre variabili sono le più comuni in caso di violenza psicologica. Ci sono poi “Il mio partner si è risentito per essere interrogato su come mi tratta”, “Io e il mio partner non siamo d’accordo su qualcosa di sessuale” e “Io e il mio partner abbiamo fatto sesso, anche se non ero dell’umore giusto per farlo”.

E infine “Il mio partner ha creato una situazione scomoda per me in pubblico”. Il tutto abbinato a una costante: il tempo trascorso insieme. E anche questa condizione ha diverse sfaccettature: il desiderio che diventa necessità, la richiesta continua di attenzioni e di sentirsi importanti che poi però sfocia in controllo, possessività e ossessione.

“Sebbene questa ricerca abbia lo scopo di aiutare a educare le potenziali vittime di abusi e coloro che li circondano, ciò non significa in alcun modo che le persone che subiscono violenza siano responsabili dei loro abusi – sottolinea la dottoressa Nicolyn Charlot, autrice principale della ricerca – . Allo stesso modo, se una persona nota segnali di allarme nella relazione di qualcun altro, ciò non significa che sia responsabile di eventuali abusi che potrebbero verificarsi, ma rendere questi segnali di allarme pubblicamente disponibili è un passo fondamentale per consentire alle persone di cercare sostegno o lasciare i propri partner prima di impegnarsi in una relazione seria o subire abusi”.

Come cercare aiuto

 “Sebbene siano necessarie ricerche future per comprendere appieno le origini degli abusi, questi segnali d’allarme potrebbero eventualmente essere utilizzati in interventi per aiutare le persone a imparare come evitare relazioni violente, come strategia di prevenzione primaria, o per supportare i propri cari che potrebbero essere a rischio”, scrivono i ricercatori.

“La violenza intima del partner è dannosa e diffusa, ma lasciare i partner violenti è spesso difficile a causa degli investimenti che abbiamo fatto nella relazione – aggiunge Charlot – . È più probabile che gli individui rimangano o ritornino in relazioni violente se hanno dedicato più tempo, energia e altre risorse rispetto ad altre relazioni. Pertanto, le persone coinvolte in relazioni potenzialmente violente hanno bisogno di strategie che le aiutino a riconoscere i segni di violenza il prima possibile”.

Danni fisici e psicologici

Come è evidente che sia, la violenza da parte del partner provoca inestimabili danni fisici e psicologici a persone in tutto il mondo. “La lotta a questo problema sistemico richiede interventi strutturali, trasformazioni sociali e gli sforzi di sostenitori, studiosi, attivisti, operatori sanitari, educatori e molti altri, a partire dalle testimonianze di chi ha subito violenza. Accanto all’implementazione di sforzi strutturali, la presente ricerca – si augura l’autrice – potrà aiutare le persone a responsabilizzarsi, a riconoscere e affrontare i segnali di allarme nelle loro relazioni e in quelle dei propri cari, contribuendo così allo sviluppo di relazioni non tossiche”.



www.repubblica.it 2023-12-11 14:28:33

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