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Antonella Ferrari, il sogno (negato) della maternità raccontato in un libro

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“E lei quanti figli ha?”, “Ha la sclerosi multipla e per questo non può avere figli”, “Ma lei si preoccupa di avere dei figli?”, “A lei un figlio non lo daranno mai”. Antonella Ferrari, attrice e scrittrice affetta da anni da sclerosi multipla, domande e frasi come queste se le è sentite dire spesso, a volte da conoscenti e persone che le è capitato di incontrare, altre volte, invece, da medici, senza tanti giri di parole. Per lei, che ha sempre avuto il grande desiderio di avere dei figli e che ha cercato con determinazione di coronare questo suo sogno, sono parole che in ogni occasione hanno pesato come macigni, creandole un profondo senso di inquietudine e inadeguatezza. Lo racconta nel suo nuovo libro “Comunque mamma. Storia di una ferita ancora aperta” (edito da HarperCollins Italia): la storia della sua esperienza alla ricerca della maternità, tra sospensione temporanea della terapia, fecondazione assistita e adozione, del diritto negato di diventare madre, del sostegno fondamentale del marito Roberto (a cui il libro è dedicato), della serenità portata in casa dal cane Grisù, e della volontà di trovare modi diversi per sentirsi comunque una mamma.

Particolare della copertina del libro "Comunque mamma. Storia di una ferita ancora aperta

Particolare della copertina del libro “Comunque mamma. Storia di una ferita ancora aperta 

La storia di Antonella e di tante altre donne

In questo suo nuovo lavoro, che arriva a poco più di dieci anni dal precedente libro “Più forte del destino” (Mondadori, 2012), Antonella – nota anche per avere recitato in serie televisive tra cui “Centovetrine” e “Un matrimonio” – si mette a nudo partendo da una ferita ancora aperta e dalla necessità di venire a patti con il dolore. “Ho deciso di scrivere questo libro durante la pandemia, quando il senso di solitudine si faceva in me ancora più forte e la voglia di maternità continuava a bussare alla mia porta – spiega l’autrice – Ho deciso di affrontare un altro tema doloroso della mia vita e di usare la scrittura come terapia”.

Nel raccontare il suo percorso, Antonella è molto diretta e talvolta ironica. “La verità è che non mi è mai bastato essere la zia di tutti”, scrive nel libro. E così mette a fuoco pagina dopo pagina le sue speranze in un concepimento naturale, la sua determinazione nel non voler rinunciare al suo sogno, il dover fare i conti con la malattia e con le controindicazioni di una gestazione durante l’assunzione di specifici farmaci, con gli esiti degli esami sulla fertilità di coppia, con il bisogno di informarsi e documentarsi sulle alternative per diventare genitori, con le delusioni e le ingiustizie.

Ma racconta, con delicatezza, anche delle tante donne incontrate sulla sua strada, ognuna con esperienze diverse. Come Emilia, Karin e Viviana che hanno avuto il coraggio di prendere in affido o in adozione bambini con disabilità o bisogni speciali, o di Elena, che ha preferito prendersi cura di bambini in alcune comunità di migranti. O ancora di Maria, che dopo aver superato un tumore al polmone, ha visto interrompersi le pratiche d’adozione per una recidiva che non l’ha resa più idonea a compiere questo passo. Queste, e altre storie raccontate nel libro, per Antonella sono state d’aiuto nell’accettare le sue fragilità, i sensi di vuoto e di inadeguatezza dovuti alla mancata maternità.

Fecondazione assistita, adozioni, affidi

Ma anche nel non arrendersi e nel continuare a cercare risposte su temi diversi: sul rapporto tra sclerosi multipla e fecondazione assistita, sulle difficoltà di adottare bambini per chi è affetto da specifiche patologie, sul perché una donna con una malattia deve essere considerata per forza non idonea ad amare, sulla possibilità di autodeterminarsi senza che nessuno decida al proprio posto. A interrogarsi su fattori culturali e modi di pensare sbagliati, come quello che riguarda l’identificazione della genitorialità con il corpo della donna, che rende quasi automatico collegare prevalentemente a quest’ultima l’origine delle difficoltà per una coppia di avere figli, a maggior ragione se ha anche una malattia o vive una condizione di disabilità.

“Mentre sono venuta a patti con la malattia per questo dolore, non ho invece ancora trovato un cerotto capace di medicare la ferita – scrive – Sicuramente mi hanno aiutato tantissimo mio marito e Grisù, ma il non essere riuscita a diventare madre è una sofferenza grande, che si fa ancora sentire forte in me – conclude l’autrice – Spero che con questo libro possa riaprire quel dialogo con il pubblico iniziato con ‘Più forte del destino’: qualcuno, magari, si ritroverà nelle mie parole e nella mia battaglia. E mi auguro che faccia riflettere anche le istituzioni, affinché si metta finalmente mano alla legge sull’adozione e si possano fare dei passi avanti, rendendo questo percorso meno complicato”.



www.repubblica.it 2023-12-14 14:46:17

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