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Leucemia linfatica cronica, come sta cambiando la cura

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La leucemia linfatica cronica, la forma più diffusa di leucemia nelle persone over 70, è sempre più curabile, non richiede la chemioterapia (salvo rare eccezioni) e, a differenza di un tempo, oggi la cura può essere “a termine”. È questo uno dei messaggi emersi nel corso del convegno nazionale “Leucemia Linfatica Cronica: tempo per vivere”, promosso oggi da AbbVie e in corso a Roma, che ha l’obiettivo di fare il punto sulle nuove prospettive per i malati. Tanto che ad aprirlo è stato proprio un monologo della paziente e attrice Laura Marziali.

L’identikit dei pazienti e della malattia

La neoplasia colpisce ogni anno 3.400 persone e in totale si stima che siano oltre 25 mila quelle che vivono con una diagnosi pregressa. Nella maggior parte dei casi si tratta di uomini di circa 70 anni di età (sebbene possa presentarsi anche in persone più giovani), che non presentano sintomi evidenti. “La leucemia linfatica cronica è una forma di tumore del sangue indolente e poco aggressivo, sebbene abbia una forte tendenza a ripresentarsi nel tempo”, spiega Paolo Sportoletti, Sezione Ematologia del Dipartimento di Medicina e Chirurgia dell’Università di Perugia.

La malattia è caratterizzata da una produzione eccessiva di globuli bianchi (i linfociti B) nel sangue, che tendono ad aumentare e che possono accumularsi in linfonodi e milza, facendoli crescere. “Di solito – riprende l’esperto – si manifesta con una certa lentezza e viene scoperta casualmente, per esempio grazie ad esami del sangue che rivelano un incremento dei globuli bianchi. Possono passare diversi anni prima della comparsa di sintomi evidenti, come emorragie o infezioni. Per questo la sopravvivenza stimata a cinque anni è piuttosto alta, intorno al 70%”. 

I trattamenti si rendono necessari quando i globuli bianchi tendono a crescere molto rapidamente o quando i valori di globuli rossi e piastrine scendono sotto livelli di allerta che espongono a rischio di vita il malato. Anche linfonodi o milza molto grandi richiedono un intervento terapeutico. L’obiettivo più importante delle cure è quello di riportare i valori del sangue e le dimensioni dei linfonodi alla normalità, ottenendo quella che si definisce una remissione della malattia.

 

La rivoluzione delle terapie target “a tempo”

Oggi la leucemia linfatica cronica può essere trattata con le terapie target. Il meccanismo d’azione è quello di interferire direttamente con i processi che regolano la proliferazione e la sopravvivenza delle cellule leucemiche: “Nello specifico, l’inibitore selettivo di BCL-2 in associazione ad anti-CD20 o in monoterapia permette di ottenere risposte profonde, in cui la malattia è talmente ridotta da non essere più identificata, anche da metodiche di laboratorio altamente sensibili – dice Francesca Romana Mauro, professore di Ematologia presso il Dipartimento di Medicina Traslazionale e di Precisione dell’Università di Roma, Sapienza – Questo risultato consente, a seconda della linea di trattamento, la sospensione della cura anche per anni. E, oltre che per la tossicità, la terapia limitata nel tempo ha un impatto minore anche in termini di costi per il Sistema Sanitario”. Il trattamento chemio-immunoterapico utilizzato fino a qualche anno fa, spiega l’oncologa, per quanto efficace, era mal tollerato a causa degli effetti collaterali e di una importante tossicità sia a breve che a lungo termine. Disporre oggi di farmaci efficaci e meglio tollerati rappresenta un grande beneficio per questi pazienti.

Il punto di vista del paziente

Il paziente, d’altro canto, deve essere informato correttamente e avere la possibilità di spiegare le proprie necessità all’ematologo: “Sia nel momento della diagnosi sia nella scelta terapeutica e di follow-up, è importante spiegare al paziente il percorso che gli si prospetta, ma anche ascoltare quelle che sono le sue preferenze – sottolinea Davide Petruzzelli, Presidente dell’Associazione La Lampada di Aladino – Tutti i pazienti eleggibili alle terapie target debbono poter beneficiare di questa innovazione, e il tempo dev’essere considerato un indicatore imprescindibile affinché vi sia una corretta comunicazione e uno scambio continuo tra le parti coinvolte”.

Verso una terapia a durata fissa

L’aspettativa di vita dei pazienti ematologici continua a crescere, per questo è sempre più importante porre attenzione al concetto di ‘tempo’ sia per il paziente sia per l’ematologo, come ulteriore indicatore della loro qualità della vita, come spiega Marco Vignetti, Presidente di Fondazione GIMEMA: “A volte le tossicità insorgono anche mesi o addirittura anni dopo la somministrazione dei farmaci. Le controindicazioni, legate ai trattamenti tradizionali, possono portare anche alla necessità di trasfusioni di globuli rossi o piastrine. È perciò nostra priorità arrivare a cure somministrate per periodi precisi e limitati di tempo. Stiamo assistendo ad un cambiamento decisamente importante, orientato verso una strategia a durata fissa”. Una prospettiva particolarmente rilevante se consideriamo anche la crescita nel nostro Paese degli over 70, che hanno superato quota 10 milioni, come ricorda l’esperto.

“La nostra Azienda è impegnata da molti anni nell’ematologia – conclude Annalisa Iezzi, Direttore Medico di AbbVie -. L’obiettivo primario che ci poniamo è di investire nella ricerca e nello sviluppo di terapie innovative che abbiano un impatto significativo sulla vita delle persone. Infatti, tanto l’anziano quanto il giovane, colpiti dalla leucemia linfatica cronica, hanno il diritto di riappropriarsi della propria quotidianità”.



www.repubblica.it 2023-12-19 14:38:28

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