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Un buon proposito per l’anno nuovo? Essere un po’ più egoisti

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E se mentre tutti fanno buoni propositi per diventare un po’ più buoni decidessimo di diventare un tantino più egoisti? E se fosse il momento giusto, questo inizio d’anno, per imparare a dire un po’ più di no?

La domanda suona paradossale, o addirittura provocatoria (è pure appena passato il Natale, figuriamoci). Ma non lo è. Perché l’egoismo di cui parliamo qui, quello a cui aspirano eserciti di brave persone non è l’egoismo di chi manipola il prossimo, di quelli che per raggiungere un obiettivo personale – e non necessariamente un grande obiettivo – schiacciano ogni altrui diritto e desiderio e sfruttano ogni altrui risorsa e competenza. Noi, qui, parliamo di un egoismo sano, di un egoismo “buono”.

Parliamo di quella cosa che ci fa fissare dei confini tra noi e le richieste esterne, che ci fa piantare dei paletti tra noi e chi ci chiede aiuto, e magari lo pretende, anche quando non abbiamo la possibilità o la forza, o anche solamente la voglia di concederlo, il nostro aiuto.

Perché succede, di non avere voglia di aiutare, a volte. Capita di voler dire “non ti voglio offendere ma in questo momento non mi va di accompagnarti/ascoltarti/occuparmi dei bambini/cucinare perché ora, io, voglio solo andare al cinema/leggere/passeggiare”. Ma succede pure, e spesso, di non riuscire a dirlo quel “no, non mi va”, per paura dei sensi di colpa o anche, a volte, del giudizio altrui.

Egoismo sano o amore per sé stessi? 

Gli psicologi Scott Barry Kaufmann ed Emanuele Jauk, il primo del dipartimento di Psicologia della Columbia University e il secondo dell’Università di Graz solo qualche anno fa hanno pubblicato un articolo su Frontieres of Psycology dal titolo (tradotto) “Egoismo sano e altruismo patologico: due forme paradossali di egoismo”.

“L’egoismo – scrivono Kaufmann e Jauk – è spesso considerato una caratteristica indesiderabile o addirittura immorale, mentre l’altruismo è in genere universalmente considerato desiderabile e virtuoso. Però, la storia umana e i lavori degli psicologi […] delineano un quadro più complesso: non tutto l’egoismo è necessariamente cattivo, e non tutto l’altruismo è necessariamente buono”.

Nello stesso testo, i due psicologi ricordano che Erich Fromm nel suo saggio del 1939 “Egoismo e amore verso sé stessi” diceva che “la cultura moderna è pervasa da un tabù sull’egoismo. Insegna che essere egoisti è peccato e che amare gli altri è virtuoso.

Fromm sosteneva – dicono ancora i due autori – che questo “tabù culturale ha avuto la sfortunata conseguenza di far sentire le persone in colpa per il fatto di provare un sano amore per sé stessi che Fromm, definisce come ‘una appassionata affermazione e rispetto per la propria felicità, crescita e libertà’ “. Ecco, appunto, il senso di colpa…

Ma l’egoismo sano, o per dirla con Fromm, l’appassionata affermazione e rispetto per la propria felicità, crescita e libertà, non andrebbe contrastato, perché ci fa vivere in modo autentico, e ci permette di soddisfare i nostri bisogni (anche quelli quotidiani, non parliamo solo di grandi successi esistenziali ma pure di piccole cose) e di impegnarci per raggiungerli.

“Questa forma di egoismo, o se vogliamo l’egoismo buono, è adattativo, è funzionale e naturale, e serve a soddisfare bisogni che tutti abbiamo e a cui non possiamo e non dovremmo rinunciare – dice Giancarlo Dimaggio, psichiatra a e psicoterapeuta – Se la rinuncia si protrae cronicamente, il rischio è un calo dell’umore e addirittura la depressione, o l’irritabilità, il rancore, il risentimento nei confronti del prossimo” e questo è davvero un paradosso. “L’atteggiamento sacrificale, la rinuncia continua cronica ai nostri bisogni – aggiunge Dimaggio – ha un costo che non possiamo sostenere”. 

L’egoista strutturale

Ma mentre l’egoista sano o, se vogliamo dire meglio, la persona che si ama e si rispetta  mette al centro le sue necessità ma non manipola né sfrutta gli altri, l’egoista vero, l’egoista puro per capirci, è egocentrico, mette al centro della propria esistenza sempre e solo i suoi bisogni, senza curarsi di quelli degli altri o delle ricadute sul prossimo della propria realizzazione. “Ci sono differenti forme di egoismo strutturale – spiega lo psicoterapeuta – che possiamo semplificare in due grandi macro-tipi: le persone che hanno una vera e propria ipertrofia del comportamento predatorio, che vogliono ottenere risorse per sé stesse non importa se scapito degli altri, a cui non sono affatto interessati se non in termini di tornaconti. E poi ci sono gli egoisti reattivi”.

L’egoista reattivo

L’egoista reattivo crede di non aver ricevuto dalla vita ciò a cui aveva diritto. È egoista con rancore e rabbia, perché cerca un risarcimento, che non trova mai. “È esattamente questo – conferma Dimaggio – ma mentre nel pensiero del risarcimento non c’è soddisfazione nell’egoismo per così dire buono c’è gioia, c’è allegria, c’è appunto la soddisfazione di aver fatto o realizzato qualcosa di cui si sentiva bisogno”, che si tratti di un dottorato in tarda età invece di passare tutto il tempo libero a provvedere alla casa, o di un cinema con un amico invece di aver fatto i compiti con un figlio, per una volta. 

Come vive un egoista sano 

Kauffman ha elaborato una Scala dell’Egoismo Sano, che qui possiamo intrepretare come una sorta di elenco di pratiche dell’egoismo sano

Eccolo, in sintesi:

  1. Porsi dei confini sani
  2. Prendersi molta cura di sé stessi
  3. Avere una buona dose di rispetto per sé stessi e non permettere alle persone di approfittarsi di noi
  4. Bilanciare i propri bisogni con quelli degli altri
  5. Sostenere i propri bisogni
  6. Praticare una sana forma di sano egoismo che non ferisce gli altri (per esempio seguire una alimentazione sana, dare esercizio fisico, ecc.).
  7. Anche se si dà molto agli altri, sapere quando è il momento di ricaricarsi
  8. Concedersi di divertirsi, anche se non necessariamente è d’aiuto per gli altri.
  9. Prendersi cura di sé stessi e dare priorità ai propri progetti personali

Secondo Kauffman, come secondo Dimaggio, mettere in pratica tutte o alcune di queste indicazioni, aumenta le possibilità di benessere mentale, di soddisfazione per la vita e per i risultati raggiunti, e abbatte il rischio di andare incontro a depressione.

Non solo: un po’ di sano egoismo renderebbe meno aggressivi e più disponibili nei confronti del prossimo, anche senza vantaggi personali o sociali. Insomma, sembra di capire, un po’ più in pace con sé stessi.

Imparare a dire no agli altri o sì a sé stessi?

Ecco, ma per sperimentare tutto questo bisogna imparare a dire no. E non è facile per tutti: dire no può comportate pensieri negativi come sensi di colpa o di vergogna, e anche stigma sociale, soprattutto (ma non solo) se si vive contesti culturali che premiano la rinuncia o se si appartiene a categorie sociali (genitori di bambini piccoli, figli adulti di genitori anziani, donne che si prendono cura di altri…) a cui è richiesto di rinunciare pressoché sempre.

“Dovremmo entrare nell’ordine di idee che i nostri desideri hanno senso e valore. E imparare che per essere contenti si può anche accettare qualche pensiero negativo: come sentirsi un po’ in colpa. D’altronde, aspettare sempre l’autorizzazione altrui per fare le cose di cui abbiamo bisogno, o che ci piacciono, sarebbe paralizzante – riprende Dimaggio – . Per praticare l’egoismo sano o adattivo bisogna partire dall’idea che non è questione di dire no agli altri, ma di dire sì a sé stessi”. E dire sì a sé stessi non è paradossale e non è provocatorio. È davvero solo un buon proposito. 



www.repubblica.it 2024-01-09 12:59:11

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