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Cos’è l’ibogaina, l’allucinogeno in studio per depressione e disturbo post traumatico…

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Da diversi anni la comunità scientifica ha indagato e continua a indagare, con risultati incoraggianti, l’efficacia di molecole psicoattive come l’Mdma, la ketamina e la psilocibina – già usate (illegalmente) come droghe ricreative per i loro effetti psicotropi e allucinogeni – per il trattamento di diversi disturbi psichiatrici, tra cui la depressione, i disturbi paranoidi e alcuni tipi di disturbi dell’umore. In alcuni studi in provetta e (meno) trial clinici, queste sostanze, somministrate in dosi ben precise, sembrerebbero infatti promuovere la plasticità cerebrale, ossia la capacità del cervello di adattarsi, mutare nel tempo e formare nuove connessioni, e nel contempo avere un profilo di sicurezza tale da non provocare danni ed effetti collaterali successivi. Con il proseguire della ricerca, sempre più sostanze stanno entrando nel novero dei potenziali nuovi farmaci: l’ultima, in ordine di tempo, è l’ibogaina, una droga estratta dalla pianta di iboga, meno conosciuta delle altre citate prima ma già usata nella medicina tradizionale africana e di cui da oltre mezzo secolo è nota una certa efficacia nella riduzione della dipendenza da eroina senza causare crisi di astinenza. In particolare, un piccolo studio condotto su un gruppo di veterani statunitensi da parte di ricercatori della Stanford University, in California, ha mostrato che l’ibogaina potrebbe essere utile nel trattamento dei cosiddetti danni cerebrali traumatici (Tbi, acronimo di Traumatic brain injury): un mese dopo l’inizio del trattamento, i partecipanti allo studio hanno dichiarato di aver osservato una riduzione dell’80%, in media, di alcuni dei sintomi dei danni cerebrali traumatici, tra cui il cosiddetto disturbo da stress post traumatico (Ptsd) e la depressione. I risultati sono stati sulla rivista Nature Medicine.

Lo studio

L’ibogaina, come dicevamo, è un estratto ricavato dalla corteccia della radice di un arbusto africano, ed è usata da secoli da alcune tribù pigmee dell’Africa. Gli autori dello studio hanno scelto di reclutare dei veterani di guerra perché è noto il loro rischio maggiore di sviluppare patologie psichiatriche a causa dell’esperienza violenta vissuta, così come il rischio maggiore di traumi fisici alla testa. Il trattamento più comune per queste persone è basato su antidepressivi e ansiolitici, che però non hanno alcun effetto sulle lesioni cerebrali. In particolare, il campione dello studio era così costituito: 23 partecipanti soffrivano di sintomi associati al disturbo da stress post traumatico, 14 al disturbo di ansia e 15 all’abuso di alcool; 19 soggetti hanno dichiarato di aver avuto propositi suicidi e 7 hanno addirittura provato a metterli in atto. I loro disturbi mentali erano associati a problemi nel funzionamento cognitivo, nella mobilità, nella cura del sé e in altre attività quotidiane. E per tutti loro l’effetto delle terapie tradizionali si è rivelato molto limitato: “Abbiamo disperatamente bisogno di nuovi trattamenti per il Ptsd e per questi disturbi”, ha commentato a Nature Maria Steennkamp, psicologa clinica della NYU Grossman School of Medicine di New York.

I partecipanti si sono somministrati da sé l’ibogaina, acquistandola in Messico, dove la sostanza è legale (negli Stati Uniti non lo è); hanno anche assunto degli integratori a base di magnesio per abbassare il rischio di effetti collaterali a carico del cuore. Questi i risultati dopo un mese di trattamento: 88% in meno di sintomi legati al Ptsd, 87% in meno di sintomi legati alla depressione, 81% in meno di sintomi legati all’ansia. Dopo il trattamento, sempre in media, si sono notevolmente attenuate le disabilità cognitive e di mobilità legate ai disturbi; nessun partecipante ha lamentato effetti collaterali cardiaci. “Questa sostanza – ha dichiarato Nolan Williams, neuroscienziato a Stanford e co-autore del lavoro – sembra avere un effetto ampio, significativo e consistente”.

Una prova di concetto

Lo studio, dicono sempre gli autori, può essere dunque considerato una proof of concept, ossia una dimostrazione in linea di principio che uno screening e una somministrazione adeguati possano ridurre i sintomi e i rischi associati a questi disturbi. Gli scienziati hanno ora intenzione di valutare gli eventuali benefici a lungo termine di questo potenziale trattamento e di comprendere a livello più profondo, tramite scansioni cerebrali e biomarcatori, l’azione biochimica della molecola. Secondo uno studio precedente, condotto su topi, l’ibogaina potrebbe riaprire temporaneamente una “finestra” simile a quella osservata durante le prime fasi dello sviluppo, in cui il sistema nervoso è particolarmente malleabile. 



www.repubblica.it 2024-01-16 14:15:44

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