Tutte le notizie qui
Backaout
Backaout

Un microbiota “nuovo” prima dei trapianti

23

- Advertisement -


Finora in ambito clinico il trapianto fecale è stato applicato principalmente come trattamento contro le infezioni da Clostridium difficile, tra le infezioni gastrointestinali più comuni in ambito ospedaliero, dove causa soprattutto diarrea, in particolare tra gli anziani. Negli ultimi anni, però, gli studi sulle possibili applicazioni del trapianto fecale sono esplosi, consentendo di immaginare un loro utilizzo più esteso. E casi eccezionali, come quello seguito dagli specialisti dell’Ospedale Molinette di Torino (tra gli “Ospedali di eccellenza” per la Gastroenterologia), confermano che sì, il trapianto fecale – o di microbiota intestinale – può essere usato non solo per trattare le diarrea da C.difficile. In questo caso, infatti, è stato eseguito come intervento propedeutico a un trapianto di fegato, per abbassare il rischio di infezioni potenzialmente mortali in una persona già fortemente debilitata. 

Un caso complesso, a rischio di infezioni incurabili

A raccontare tutto questo a Salute è Renato Romagnoli, Direttore del Centro Trapianto Fegato di Torino che, con la sua équipe, ha effettuato un  trapianto di fegato su un paziente di 56 anni con malattia policistica e interessamento epatico e renale. “Il nostro paziente era un caso estremamente complesso: in dialisi da tempo, con ipertensione portale, casi di pregresse infezioni e un ingombro addominale importante”. Il fegato del paziente, infatti, pieno di cisti, pesava da solo 15 kg. “Ma non solo: abbiamo osservato che l’intestino era colonizzato da batteri resistenti a tutti gli antibiotici noti. E questo rappresentava un ostacolo enorme alla possibilità di trapianto di fegato: avrebbero potuto infatti entrare in circolo, dando origine a infezioni incurabili e potenzialmente mortali”. 

“Resettare l’intestino”

Di qui l’idea di resettare l’intestino del paziente tramite trapianto fecale, ovvero di utilizzare il microbiota per decolonizzare l’intestino del ricevente dai batteri multiresistenti, va avanti Romagnoli: “In questo modo è possibile sradicare i germi multiresistenti e prevenire infezioni critiche, e scongiurare così il rischio di un trapianto di fegato futile, ovvero che non cura il paziente e che ‘spreca’ la donazione”. Nel caso particolare, però, l’esperienza in materia di trapianti fecali del centro torinese non bastava, spiega l’esperto: l’ingombro addominale impediva la somministrazione tradizionale delle feci opportunamente preparate per via colonscopica. Ma non solo: secondo quanto riferisce l’esperto, in questo modo sarebbe aumentato anche il rischio di traslocazione dei batteri resistenti. “L’unica opzione rimaneva il trapianto dall’”alto”: o tramite sondino nasogastrico – ma anch’esso a rischio per via di possibili polmoniti – o, in maniera molto meno invasiva, tramite capsule in cui il microbiota si libera poi nell’intestino”. 

Le capsule di microbiota

Per realizzare queste capsule il team di Torino si è affidato all’esperienza nel campo dell’équipe di Antonio Gasbarrini, direttore della Medicina Interna e Gastroenterologia e del Centro Malattie dell’Apparato Digerente della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS di Roma (tra gli “Ospedali di eccellenza” per la Gastroenterologia). Dopo tre mesi il paziente è uscito dall’ospedale e oggi è a casa e in piena ripresa. “E’ migliorata anche la sua funzione renale: sappiamo che in futuro non sarà così, ma oggi può fare a meno della dialisi”, conclude Romagnoli. 



www.repubblica.it 2024-02-29 10:39:12

This website uses cookies to improve your experience. We'll assume you're ok with this, but you can opt-out if you wish. Accept Read More