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Identikit della nuova pandemia, il pericolo viene da questi virus

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Non dobbiamo uscire di casa bardati fino ai capelli per proteggerci dai numerosissimi agenti invisibili che potrebbero entrare nel nostro corpo attraverso la respirazione o il contatto fisico con altre persone e animali. Certamente non dobbiamo metterci l’elmetto per combatterli come se andassimo in guerra, ma dopo la pandemia Covid pare a tutti più chiaro che serva una marcia in più. La “marcia” si traduce in una strategia che ci protegga contro i virus che possano generare future, anche vicine, pandemie. Perché di virus che possono infettare i mammiferi ce ne sono a bizzeffe: 320 mila per la precisione, come prospettato da recenti studi. E molti sono in grado di produrre nuove importanti pandemie. Così la pensa anche il dottor Antonio Piralla, dirigente biologo dell’Unità complessa di Microbiologia e Virologia del policlinico San Matteo di Pavia e responsabile del gruppo di lavoro sulle Infezioni respiratorie di Amcli (Associazione Microbiologi Clinici Italiani, reduce dal recente congresso di Rimini. Che traccia un quadro di ciò che stiamo vivendo e di ciò che ci aspetta.

Dottor Piralla, terminata la pandemia Covid, quale fase stiamo attraversando?

“I virus respiratori sono ritornati a circolare come nel periodo pre-Covid. Ora SARS-CoV-2 rientra tra i virus respiratori comuni: è, per così dire, un protagonista in più. Lo consideriamo come altri patogeni che conosciamo, ce lo testimonia il numero di ricoveri in ospedale, nettamente ridotto. Quindi è tempo di porci altre domande, altre priorità”.

Iniziamo da quella più urgente: cosa dobbiamo aspettarci?

“Bisogna ragionare utilizzando una parola sdoganata, un tema di cui si parla molto: approccio One health, ossia un modello sanitario basato sull’integrazione di discipline diverse. Si basa sul riconoscimento che la salute umana, quella animale e quella dell’ecosistema siano legate indissolubilmente. Fino a poco tempo fa era una parola vuota, perché non c’era collaborazione, ad esempio, tra veterinari, strutture ambientali e medici. Ora è realtà e ci permette di disegnare scenari di circolazione di virus a largo raggio: considerando, appunto, ciascun ambito.

Un esempio?

Nell’aprile del 2023 è stato diffuso un report dell’Ecdc su un ecovirus che causava epatiti tra i neonati. Si segnalava che sarebbe arrivato ed è stato individuato proprio nell’ambiente, in Sicilia per la precisione, nonché in Lombardia, a Pavia, dove abbiamo avuto più di 20 casi di contagio”.

 

Come tradurre in termini comprensibili “One health”?

“Approcci integrati. Le faccio un altro esempio: se riuscissimo a intercettare nelle acque reflue la presenza di particolari virus e poi iniziassimo a vederli anche nella popolazione, potremmo anticipare quello che potrebbe accadere su larga scala. E per la parte veterinaria dovremmo tener conto del fatto che patogeni presenti negli animali possano passare all’essere umano. Come? Da animale all’uomo o da uomo a uomo? Questo è il percorso su cui dobbiamo muoverci, e i laboratori che fanno ricerca sull’umano fanno proprio questo. Dobbiamo avere rapporti agnostici (le terapie agnostiche producono farmaci che vanno a colpire non la malattia in base all’organo dove si riscontra, ma la singola alterazione genetica che li caratterizza per intercettare nuovi patogeni) e quando questa procedura la mettiamo in atto nei confronti di nuovi patogeni respiratori è allertata tutta la parte veterinaria e ambientale. Quindi si legano più attori”.

Un confronto continuo a più voci.

“L’approccio One health ci può permettere di farci individuare l’obiettivo verso cui muoverci. Teniamo presente il fatto che il 75%  delle malattie infettive è di origine zoonotica. E se prima si ragionava a compartimenti stagni, ora si sta cambiando visione perché è importante condividere il dato. Le cose stanno migliorando anche attraverso Regioni che organizzano una serie di processi che coinvolgono tutti gli attori. Dobbiamo essere in grado di disporre di test diagnostici che ci consentano di avere una panoramica completa e allargata su diverse situazioni in cui i virus sono protagonisti”.

Passiamo alla malattia X: l’Oms ha avvertito che non è un’eventualità…

“Ci sono molti alert dell’Ecdc in proposito. E già nel 2018, quindi prima dell’emergenza Covid, l’Oms (Organizzazione mondiale della sanità) ha ipotizzato l’arrivo di una pandemia causata da una malattia ancora sconosciuta, chiamata genericamente Disease X, ovvero malattia X. Noi cerchiamo di assecondare la richiesta sulle casistiche prospettate che rientrano nel Disease X, ossia qualcosa che è fuori dai pannelli classici. Abbiamo supporti che ci possono aiutare, come l’Intelligenza artificiale, per definire una dignostica di precisione più adeguata. L’Ai può mettere insieme enormi dati. Il riferimento va ai miliardi di sequenze che produciamo e che, se opportunamente analizzati, sono in grado di disegnare il quadro delle nuove pandemie”.

Di quali patogeni stiamo parlando?

“Centrarli con precisione è una scommessa. Negli anni 2000, ad esempio, eravamo pronti ad affrontare una pandemia da H5N1, virus dell’influenza aviaria, sicuri che in qualche modo sarebbe circolato, pericoloso perché ha un tropismo (tendenza di alcuni microrganismi e farmaci a localizzarsi o ad accumularsi prevalentemente in un organo, apparato, tessuto o cellula) per le cellule del polmone. In sostanza crea un’infezione profonda, mentre l’influenza normale riesce a colpire i polmoni in misura minore. Quell’aviaria invece non ha fatto centro perché nel 2009 ha prevalso un virus a quadrupla combinazione di origine suina.
Questo per dire che il mondo animale ha in serbatoio una serie notevole di virus, e di batteri, ma i primi sono di più facile trasmisisone respiratoria. Il fatto è che, se possiamo immaginare famiglie di virus in grado di replicarsi, più difficile è avanzare previsioni su quali possano essere con esattezza. Le faccio un altro esempio: un virus come Ebola ha un ciclo replicativo che produce emorragie interne e uccide l’ospite, ma è poco intelligente e poco trasmissibile. Quindi è più facile pensare che nella prossima pandemia venga battuto sul tempo da un virus respiratorio, sicuramente più veloce, di conseguenza una delle minacce più probabili. I virus respiratori si trasmettono facilmente nell’epoca in cui stiamo vivendo: se venissi contagiato in Australia, nell’arco di 18 ore (di aereo) sarei in grado di trasferirlo in Canada”.

Con Covid è successo questo.

“Certo, è arrivato dalla Cina in Italia. In presenza di un virus così trasmissibile come SARS-CoV-2 qualsiasi contenimento sarebbe stato inutile. Nel 2019 testammo i voli dalla Cina, ma non facemmo un tamponamento a tappeto. Si applicarono modelli che sembravano i migliori, tuttavia i lavori a cui abbiamo partecipato hanno dimostrato che a gennaio-febbraio questo virus già circolava in Lombardia.
Covid ci ha insegnato molto sull’aspetto del sequenziamento: abbiamo imparato metodiche nuove. Al congresso Amcli hanno partecipato tanti giovani ricercatori e io, che sono responsabile di un gruppo di lavoro sui virus respiratori, sono soddisfatto dall’interesse dei giovani medici nel collaborare al lavoro di ricerca”.

Quale pandemia dobbiamo aspettarci?

“Ci sono studi che fanno una stima di quanti virus possano infettare i mammiferi: parliamo di circa 320mila patogeni in grado di generare o meno qualsiasi tipo di patologia. L’unica cosa che dobbiamo fare ora è essere pronti a intercettarli, qualsiasi sia il virus in questione. La domanda che dobbiamo fare dunque è: siamo pronti a riconoscere qualcosa di nuovo nel momento in cui si manifesta? I laboratori sono preparati a questo? La comunicazione è pronta? L’Oms avverte di stare attenti, ma dovrebbe direzionare questa attenzione. E in questo contesto One healt funziona come macchina in grado di muoversi all’unisono. È l’unico modo per trovare il bandolo della matassa”.

E quando dobbiamo aspettarcela?

“Parliamo di un evento talmente multifattoriale che potrebbe avvenire anche domattina. Per questo ci troviamo ad adottare un atteggiamento, per così dire, difensivo, un contesto di monitoraggio. La maggior parte dei patogeni esiste in un contesto di zoonotica, ed è lì che dobbiamo creare una barriera molto stretta per impedire che passino dall’animale all’essere umano. Basta guardare al mercato di Wuhan, da dove è partito il virus SARS-CoV-2. In quel luogo convivono molti animali diversi, in contiguità, dove vengono macellati e venduti. Va precisato che i virus degli animali sono differenti tra loro, quindi assistiamo a una mescolazione e ricombinazione. Per questo i mercati cinesi, come altri contesti a rischio, andrebbero monitorati. Se lì morissero dei polli, ad esempio, dovremmo fare il test per H5N1, così da permetterci di prevenire una eventuale epidemia-pandemia. Certo, però, che se il messaggio arriva dopo due mesi quei polli infetti possono essere andati ovunque e aver contagiato chiunque”.

L’Italia quanto rischia?

“Non lo vedo come Paese dove originano pandemie. Ma se solo ci spostiamo di poco, in Francia, ci rendiamo conto che infezioni virali da Epatiti si diffondono in velocità, originate dall’abitudine di mangiare le salsicce crude. Non danno pandemie, ma rappresentano comunque eventi critici perché possono innescare situazioni di circolazione anomala di virus prima controllati, in grado di andare oltre la soglia di attenzione. Basta un dato a farci riflettere: sa quanti sono gli enterovirus? Ne abbiamo più di 130. E pure diversi tra loro”.



www.repubblica.it 2024-03-12 05:53:52

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