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Medicina di precisione: vademecum per il paziente oncologico

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Si inizia con la profilazione genomica, a caccia delle mutazioni che trainano la crescita del tumore. Poi un un team multidisciplinare di esperti, il Molecular Tumor Board, interpreta i dati raccolti, e sceglie, se disponibile, la miglior terapia con cui agire sulle mutazioni genetiche della neoplasia, indipendentemente dalla sua sede.

Prof. Paolo Marchetti (crediti: Università Sapienza) 

È questo, in sintesi, il nuovo percorso offerto dalla medicina di precisione, un approccio innovativo all’oncologia che sta rivoluzionando la vita di moltissimi pazienti colpiti da un tumore metastatico. Allargando notevolmente le opzioni terapeutiche per tumori che, ancora pochi anni fa, ne avevano spesso pochissime.

Abbiamo incontrato Paolo Marchetti, presidente della Fondazione per la Medicina di Precisione, a margine del terzo Italian Summit On Precision Medicine, per chiedergli di spiegarci in che modo i pazienti possono accedere a questa nuova opportunità nel campo dell’oncologia, e quali benefici ne possono trarre.

Professore, cosa può chiedere un paziente al proprio oncologo per capire se il suo tumore può essere trattato con la medicina di precisione?
“Il primo discrimine importante riguarda la stadiazione della neoplasia: la malattia è confinata o, purtroppo, è una malattia metastatica? È nel secondo caso che l’oncologia di precisione diviene una via percorribile. Se fossi un paziente con malattia metastatica chiederei all’oncologo che mi sta seguendo se esistono dei trattamenti convenzionali in grado di garantirmi un’elevata probabilità di successo. Per molti tumori metastatici esistono già farmaci a bersaglio molecolare registrati e disponibili nell’ambito del Servizio Sanitario Nazionale, per i quali sarebbe del tutto immotivato effettuare la ricerca di altri bersagli. Qualora avessi effettuato la migliore prima linea di terapia e il mio oncologo mi dicesse che in questo momento le rimanenti opzioni di trattamento disponibili per la mia malattia tendono a essere meno efficaci, allora la profilazione del tumore diventa una possibilità importante”.

Tutti i tumori metastatici sono potenzialmente curabili con la medicina di precisione?
“Purtroppo no. La profilazione genomica è inutile nelle fasi molto avanzate di malattia, perché, crescendo, i tumori accumulano nuove mutazioni e arriva un momento in cui le alterazioni diventano talmente tante che spegnerne una o l’altra non ha alcun riflesso clinico. Ricorrere alla medicina di precisione in questi pazienti non ha quindi senso: li esporremmo ad un’attesa inutile, a una biopsia inutile, a un trattamento inutile, senza benefici in termini di salute”.

Cosa può aspettarsi un paziente dalla medicina di precisione?
“La possibilità di avere risposte migliori con una minore tossicità. E soprattutto risposte che sono molto più persistenti nel tempo. Oggi abbiamo pazienti trattati da tre, quattro, cinque, sei anni con farmaci a bersaglio molecolare, quindi abbiamo possibilità di ottenere dei controlli di malattia così prolungati da potersi quasi tradurre nel concetto più comune di guarigione. Sicuramente è ancora presto per dire che si può guarire da questi tumori, ma la medicina di precisione ha già dimostrato di poter rivoluzionare il percorso di cura dei pazienti”.

La profilazione genomica, i Molecular Tumor Board e l’oncologia di precisione sono concetti nuovissimi, e non sono ancora disponibili ovunque nel nostro Paese. Cosa fare se il centro in cui siamo in cura non offre questa nuova possibilità?
“Il paziente deve chiedere al suo oncologo di indirizzarlo ad un centro dove possa essere fatta una profilazione più estesa per la ricerca di mutazioni specifiche. In Italia abbiamo in tutte le regioni dei gruppi multidisciplinari di trattamento, a cui si può chiedere di valutare l’opportunità di una profilazione anche qualora non sia disponibile nell’ospedale in cui il paziente è seguito. Quello che raccomando ai pazienti è di non cadere nel tranello del fai da te, andando in giro per conto proprio alla ricerca di qualcuno che li testi per la presenza di possibili mutazioni, perché non sempre è una strada perseguibile. E soprattutto, di non rivolgersi mai a persone che, al di fuori di strutture pubbliche, promettano trattamenti a pagamento: non ha senso spendere cifre assurde per ottenere delle modalità terapeutiche che non sono state valutate da un gruppo multidisciplinare, fondamentale per prendere decisioni in questo campo”.

Quindi non esistono ovunque percorsi automatici per l’accesso alla medicina di precisione?
“La cosa che mi addolora molto è che ancora non abbiamo attivato le reti oncologiche in tutte le regioni. Questo è un danno enorme per i pazienti, perché nell’ambito delle reti oncologiche regionali la sua domanda non troverebbe ragione d’essere: se il paziente è preso in carico dalla rete della regione è chiaro che nell’ambito della rete tutti i professionisti sanno dove è possibile fare le profilazioni e a quale paziente serve. Il certificato di residenza purtroppo fa ancora la differenza, e rappresenta ancora un fattore prognostico negativo in oncologia laddove le reti non sono attive, e questo capita anche in regioni grandi e tradizionalmente molto avanzate”.

A parte la scelta di una terapia personalizzata, la profilazione genomica offre altri benefici per i pazienti?
“La profilazione può dare informazioni di tipo molto diverso. In un 15-20% dei pazienti può mettere in evidenza la presenza di alterazioni che non appartengono solamente al tumore, ma sono proprie dell’individuo. Le cellule tumorali nascono come cellule del paziente, e se queste avevano già una mutazione se la porta appresso. Il fatto di riconoscere queste mutazioni apre un ombrello protettivo sulla famiglia, perché chiaramente ci consente di intervenire con delle valutazioni molto più precoci e trovare eventualmente tumori molto più piccoli, e quindi non costringere queste famiglie ad ulteriori sofferenze. Lo studio delle complesse alterazioni che caratterizzano ogni singolo tumore ci fa capire inoltre il grado di aggressività della neoplasia, e quindi la discussione multidisciplinare consente anche di capire qual è la possibile evoluzione di quella malattia, qual è la prognosi per il paziente, e se con i nostri trattamenti possiamo modificarla”.



www.repubblica.it 2021-11-18 11:13:23

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