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Contrordine, il caffè non fa così male al cuore

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“No grazie, il caffè mi rende nervoso”. Che la bevanda abbia effetti sulla risposta emotiva, che in alcuni non aiuti certo il sonno e che magari possa non essere ottimale in chi soffre d’ansia, è ormai accertato. Ma per il cuore, ed il conseguente rischio di aritmia, tenendo sempre a mente i consigli del medico caso per caso, forse la tazzina non è da mettere sul banco degli imputati. A discolparla, ponendo un sostegno a chi proprio non riesce a rinunciare alla bevanda e teme che la caffeina agisca come elemento stimolante delle alterazioni elettriche del cuore, è una ricerca condotta dagli studiosi dell’Università della California pubblicata su Jama Internal Medicine.

Gli esperti hanno preso in considerazione i dati relativi a più di mezzo milione di persone censite dal sistema Sanitario inglese, contraddicendo una realtà che pareva assodata. “È nozione diffusa tra la gente e anche tra i medici che il caffè possa provocare extrasistoli o fibrillazione atriale – spiega Ciro Indolfi, Presidente della Società Italiana di Cardiologia (Sic) – questi effetti hanno una plausibilità biologica perché il caffè può aumentare i livelli di catecolamine e il calcio rilasciato dal reticolo sarcoplasmatico”.

Come se non bastasse alcune ricerche osservazionali precedenti, come il Physician’s Health Study, avevano suggerito che la caffeina potesse essere associata a un rischio di aritmie e fibrillazione atriale più elevato.

Nell’indagine i partecipanti sono stati suddivisi in sette gruppi (0= non assumevano caffè, o assumevano 1, 2, 3, 4, 5 o 6  tazze di caffè al giorno). In media hanno bevuto 2 tazze di caffè al giorno, mentre il 22% di essi non ha bevuto caffè e il 14% ha bevuto caffè decaffeinato.

Lo studio ha messo inoltre in correlazione la genetica di questi individui con l’assunzione di caffè dimostrando che i soggetti con varianti genetiche associate a un metabolismo della caffeina più lento consumavano meno caffè.

I soggetti sono stati seguiti per 4,5 anni. “Lo studio ha dimostrato che ogni tazza aggiuntiva di caffè consumata abitualmente era associata, contrariamente a quanto si pensava, ad un rischio inferiore del 3% di aritmie (fibrillazione e/o flutter atriale e tachicardia sopraventricolare) – precisa Indolfi – anche lo studio specifico che ha valutato la presenza di specifiche varianti genetiche non ha rivelato alcuna associazione significativa tra il diverso metabolismo della caffeina e il rischio di aritmia”.

Insomma: il caffè non sarebbe il carburante che “accende” la reazione elettrica nei delicati circuiti del cuore che porta alla comparsa dell’aritmia. Ma come si può spiegare questa sorta di rivoluzione copernicana, che non deve ovviamente significare un “liberi tutti”?

“Esistono diversi meccanismi che possono giustificare questo effetto: la caffeina ha un effetto elettrofisiologico sul prolungamento del periodo refrattario dell’atrio sinistro e blocca i recettori dell’adenosina, che può provocare quindi una fibrillazione atriale”, conclude Indolfi.

Inoltre, un ruolo potrebbe essere svolto anche dalle proprietà antiossidanti e antinfiammatorie del caffè dato che l’infiammazione può essere un substrato sufficiente per le aritmie cardiache attraverso molteplici meccanismi.

Infine, le proprietà catecolaminergiche della caffeina potrebbero essere protettive contro alcune aritmie, come alcune extrasistoli, così come alcune aritmie innescate da un aumento del tono vagale.

Per questo motivo questi dati suggeriscono che i divieti comuni contro la caffeina per ridurre il rischio di aritmia sono probabilmente ingiustificati”. Per il piacere degli aficionados della “tazzulella”, buona degustazione. Anche se esagerare, come del resto in ogni situazione, può essere comunque un problema.



www.repubblica.it 2021-07-28 20:01:51

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